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Primavolta

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Primavolta

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Non sai mai quando ti puoi trovare di fronte a una rivelazione. Una rivelazione è qualcosa che non sapevi di non sapere. Non parlo di fisica quantistica o di come si calcola la traiettoria di un missile (so di non sapere queste cose) ma piuttosto di qualcosa che quando finalmente la leggi o la senti dire pensi “È vero, è proprio così. Non ci avevo mai pensato ma è così”. 

Mi è capitato a una mostra di fotografia. In fondo a una sala spoglia c’era una piccola televisione su cui girava ininterrottamente il video di un’intervista fatta a persone qualunque. A queste venivano dette parole o piccole frasi e loro dovevano dire la prima cosa che gli veniva in mente. Tipo “Paura” e loro dicevano cosa pensavano. “Futuro” e avanti così.

A un certo punto a una signora giapponese venivano offerte queste poche parole: “Prima volta?” e lei risponde “Ogni istante”. E in quella sala spoglia e con una sola piccola televisione su una parete, quel giorno mi è esploso il cervello.

Ok, non letteralmente: non mi è esplosa la testa e nessuno si è fatto male, tantomeno io.

Quello che intendo è che a volte senti quattro parole (tante erano, tra domanda e risposta) e capisci di essere di fronte a qualcosa di inaspettato e importante. Una rivelazione, appunto. Una rivelazione si nasconde, si traveste da altro, non la riconosci subito. Avrei potuto sentire quelle due parole e non farci caso o pensare che fossero solo una risposta brillante. Invece non solo ho pensato che fossero intelligenti ma anche qualcosa di più. Erano la più semplice e limpida definizione del tempo presente.

Il presente non è una reiterazione del passato. Il presente è irripetibile, è unico.

Normalmente non pensiamo mai che ogni istante che viviamo sia la prima volta. Il concetto di “prima volta” contempla comunemente un’intera azione e non solo il suo inizio. Nella vita ci sono tante prime volte. La prima volta che hai camminato, la prima che hai mangiato il gelato e la prima che hai baciato. Sono azioni, non sono attimi, non sono unità di tempo. Iniziano con l’unità minima (l’istante) e poi si compongono di istanti. Dopo l’inizio evolvono, mutano e, alla fine, si concludono.

Certe prime volte le ricordiamo più di altre, certe altre le dimentichiamo del tutto. 

Quello che diceva la signora giapponese però mi pareva di una profondità filosofica notevole: lei diceva in due parole “Se ci pensi bene, ogni istante che hai vissuto, che stai vivendo e che vivrai è stato, è e sarà sempre una prima volta”.

È ovvio che tantissime di queste prime volte si assomigliano: domani ti svegli e fai pressapoco quello che hai fatto oggi al risveglio. Dopodomani lo stesso. La pizza margherita che hai mangiato ieri in una certa pizzeria è molto simile a quella che mangerai fra 10 giorni e che proverrà dalla stessa pizzeria. Nella semplificazione della mente però queste due esperienze si confondono e quelle due pizze sembrano la stessa pizza, con l’unica differenza che sono state mangiate in giorni diversi. 

È una semplificazione fisiologica: elaborare grandi moli di informazioni afferenti esperienze simili come se fossero distinte e diverse è un lavoro mentale economicamente inefficiente. La mente semplifica.

Però se ci si pensa bene, quelle due pizze non sono la stessa pizza: sono due pizze diverse. Semplificando si perdono le infinite sfumature e l’unicità delle cose e delle singole esperienze. Si ragiona per classi e omologie e si trascura tutto il resto, dato che la mente lo classifica come assimilabile a esperienze passate e quindi carico di informazioni che è inutile processare come se fossero state rilevate – appunto – per la prima volta.

Ed è naturale percepire ciò che si vive così: per economia mentale dobbiamo ricondurre tutto a qualcosa di noto. Se ogni volta ricominciassimo da zero non terremmo in considerazione l’esperienza e il passato e sarebbe, diciamocelo, una cosa infernale. In questo senso operare un po’ di semplificazione va bene e ci evita di impazzire. 

Detto ciò però quello che la signora giapponese mi ha fatto pensare è che ogni istante in cui non pensiamo che quell’istante sia una prima volta ci perdiamo qualcosa: la sorpresa, l’entusiasmo della conoscenza, la percezione della novità, la constatazione che quell’albero a cui passiamo vicino ogni giorno è sempre lo stesso MA non è sempre lo stesso.

Se l’esperienza ha il sopravvento, perdiamo la potenzialità contenuta in ogni cosa. La merce che scambiamo con l’esperienza in cambio di una vita più semplice è lo stupore per ciò che ci accade, per ciò che gustiamo e sperimentiamo.

Se ogni momento è quindi una prima volta, possiamo fare a meno di preoccuparci dell’esperienza, o possiamo darle il giusto peso: ci ricorda una cosa accaduta che non è detto che debba ripetersi.

Questa considerazione – ogni istante è una prima volta – insegna che l’esperienza è fondamentale ad accelerare i processi di riconoscimento di pattern esistenziali ma non dovrebbe mai essere più potente dello stupore che è saggio conservare rispetto a ciò che ci accade. In altre parole l’esperienza non dovrebbe mai convincere che i risultati di azioni simili siano sempre gli stessi risultati. 

Le prime volte sono tante quanto dura una vita, e sono sempre diverse. 

Vivere ogni istante come fosse una prima volta ogni volta sarebbe sfibrante. Comporterebbe una concentrazione e una partecipazione che, semplicemente, non abbiamo la capacità di processare. Però possiamo fare un’altra cosa: possiamo ricordare che ogni istante è una prima volta e decidere di tributargli questo onore. Riconoscere all’attimo presente la sua componente di novità – pur se questo assomiglia a infiniti altri già vissuti – gli dà un valore più alto. Più lo si classifica come un attimo qualsiasi, più lo si spoglia del suo elemento potenziale, cioè quello di poter essere l’inizio di un’oscillazione diversa. 

Semplificando e affidandosi alla sola esperienza, si dà una lettura antiquantistica della realtà, ammesso che possa esistere una simile categoria: se gli istanti si equivalgono, allora osservarli e valutarli nella loro essenza non ne cambia i parametri. Istanti simili possono essere descritti nello stesso modo, e le loro inevitabili differenze (una su tutte: la diversa collocazione temporale) si perdono. Non solo queste: si perde anche la loro capacità potenziale di essere l’inizio di qualcosa di diverso. 

Nella concezione lineare che abbiamo del tempo, ogni istante non può deviare: è costretto sulla linea evolutiva e non può scartare in nessuna direzione. In una concezione più complessa e multidimensionale – per quanto sia difficile da concepire – ogni istante può trovarsi in luoghi diversi, su linee temporali diverse, addirittura in tempi e dimensioni passate o che devono ancora compiersi. È certo che se si interpreta ogni istante come un’ennesima reiterazione di altri istanti, quindi come tutto fuorché una prima volta, si nega che questo possa essere un unico, irripetibile attimo generatore. 

La semplificazione è utile e l’esperienza lo è altrettanto. Eppure pensare a ogni istante come una prima volta ridà un valore allo stupore che si può provare di fronte a una nuvola che assomiglia a qualcosa e poi, dopo pochi secondi, a qualcos’altro: in fondo è sempre la stessa nuvola, ma non è più la stessa nuvola. 

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