Mia madre mi ha detto che ho iniziato a parlare tardi, se non ricordo male dopo i due anni. Però quando iniziai lo feci con grande proprietà di linguaggio. Era come se avessi passato quei primi anni di vita carpendo informazioni e rielaborandole nella mia testa, per poi usarle solo quando sentivo di averne il dominio.
Si impara a parlare per superare la frustrazione di non essere capiti, e forse anche perché si capisce quanto inefficaci siano il pianto e le urla per dire se si ha fame o se si è a disagio. Il linguaggio è la più grande invenzione dell’umanità perché unisce le persone e permette agli individui di verbalizzare emozioni, esigenze e sentimenti.
Il linguaggio può essere parlato o scritto e la sua varietà permette di esprimere idee e di comunicare in maniera proporzionale alla conoscenza dei lemmi e dello stupefacente grado di dettaglio che è possibile raggiungere usandolo. Quanti più vocaboli si conoscono, tanto più è possibile dire esattamente ciò che si vuol dire, eliminando pertanto la frustrazione generata dal non riuscire a esprimersi con precisione.
Non riuscire a dire qualcosa riattiva la memoria dell’infanzia e il ricordo dell’incapacità di esprimersi. Non a caso l’infante è colui che non parla (perché non è capace).
Più invecchio, più constato che i miei pensieri gravitano sempre meno attorno a sesso e soldi (due delle ossessioni della prima fase della vita) e sempre più attorno ai ricordi. Ogni giorno cerco di annotare le memorie che riaffiorano spontaneamente. Per esempio ricordo la terrazza della casa di mia nonna dove andavo con il mio triciclo o giocavo a pallone con mio fratello. Ricordo delle passeggiate in montagna, ricordo un viaggio, ricordo le prime volte. Più mi allontano dalla mia origine e mi dirigo verso la mia fine, più cerco di suscitare quei momenti che so essere stati fondanti. Per esempio il momento in cui iniziai a parlare, anche se ovviamente non posso ricordarlo.
Perché riaffiorano certe memorie? Probabilmente per puro caso. Perché ne ricordiamo solo (o meglio) alcune in particolare? Credo che si tratti del loro valore fondativo: la mente vi riconosce l’origine dei tratti del carattere e la giustificazione della visione del mondo.
Per esempio il fatto che abbia iniziato a parlare tardi mette in luce un tratto del mio approccio alla conoscenza: voglio conoscere più dettagli possibili prima di esprimermi, e se non ho niente da dire (perché non ho raccolto abbastanza dati) non mi esprimo, e basta.
Può trattarsi di un’insicurezza latente (che convive felicemente con mille altre più esplicite) o di un ragionevole anelito alla precisione, che è comunque un’espressione di insicurezza.
Quei momenti dell’origine sono incapsulati nei ricordi e vengono rievocati per analizzarli. Non sempre è facile capire perché si ricordano certe cose e se ne dimenticano altre. Credo che in definitiva la mente ricordi ciò che è utile, e dimentichi ciò che non è rilevante. Non posso sapere perché ho dimenticato certe memorie (anche perché le ho dimenticate e non posso pertanto rievocarle) ma sono piuttosto sicuro che ne ricordo altre per capire quali indicavano ciò che sarei stato. Il filtro selettivo del ricordo indica insomma che solo alcuni dettagli esistenziali sono meritevoli di menzione dato che contengono il codice di funzionamento esistenziale, o almeno delle indicazioni sulla strada che si intraprenderà. Capiamo insomma la direzione da intraprendere da segni poco visibili ma che si decide di seguire per un qualche irrazionale istinto.
Se ho atteso prima di parlare è perché ho una mente che vuole raccogliere il numero più grande di informazioni utili prima di elaborarne altre. Se ho osservato un dipinto o una foglia con particolare attenzione è perché qualcosa evidentemente mi ha attratto. Seguiamo insomma indicazioni che sono disposte lungo il percorso esistenziale senza un’apparente logica. Poi le memorizziamo per un utilizzo futuro. Nel tempo futuro capiremo – se mai lo capiremo – perché ricordiamo una frase o un’immagine.
Siamo casse di risonanza, siamo corpi che producono suoni se stimolati da certe frequenze. Risuoniamo solo se attraversati da certe onde, fisiche o mentali. Non ne capiamo subito il motivo, ma intanto ne conserviamo una traccia.
L’Io del passato comprende pertanto molti elementi che anticipano il futuro di ogni individuo, dato che svelano le inclinazioni individuali.
La mia, principale, è il desiderio di comunicare. Per riuscirvi adotto diversi sistemi: la parola, il disegno, la fotografia. Ogni prodotto di questi domini serve a dire chi si è. Vivendo produco (produciamo) memorie. Le memorie hanno la funzione di contenere indizi. Un criterio individuale decide di archiviarne certe e di dimenticarne altre, poiché evidentemente non le reputa importanti. Vivendo produciamo memorie. Solo quelle che contengono indizi vengono memorizzate e archiviate, per utilizzi futuri.
Le memorie formano una mappa di un territorio esplorato ma contemporaneamente contengono tracce di future esplorazioni.
Il territorio è la vita o il tempo (la vita si esprime nella dimensione temporale) e, secondo i greci, il tempo è sia chronos (ossia la successione degli istanti, la loro durata) che kairos, ossia i momenti decisivi, significativi. Il tempo è insomma un continuum (chronos) su cui si elevano picchi di kairos.
È impossibile contenere una memoria di chronos (è troppo vasta e indiscreta, quindi non contenibile) mentre è possibile una forma discreta, ossia quella di kairos. Le memorie sono file che descrivono (spesso distorcendoli) avvenimenti accaduti. Vi è quindi un’identità fra kairos e memorie, o meglio: le memorie sono forme di kairos, anche definiti come momenti significativi, ossia densi di senso.
Come detto, non sempre si capisce perché si memorizzano certi dettagli, o lo si capisce a posteriori. Ricordare è una manifestazione di kairos: un ricordo viene richiamato per un certo motivo.
I ricordi sono anche storie. Il pensiero del sesso o dei soldi è un racconto astratto o una proiezione di una storia non ancora successa, che quindi non ha elementi di realtà a cui legarsi. Non contiene indizi ma desideri o proiezioni: voler godere, volere una certa forma di sicurezza.
I ricordi di fatti passati sono invece la ricerca di un significato a posteriori, sono memorie passate (soldi e sesso – per dire due dei possibili domini di pensiero – sono ricordi del futuro).
Per questo le malattie come la demenza o l’Alzheimer sono così temute: dimenticando chi si è, si smarrisce la via. Se la memoria tace, l’identità si polverizza. Il buio avvolge la vista e non si sa più dove andare. Sappiamo dove andare (o se abbiamo una sensazione) perché qualcosa ci indica la direzione. È la raccolta di indizio contenuta nella memoria, sono appunti più o meno strutturati ma conservati.
Perdere la memoria significa perdere sia l’Io passato, che quello futuro.
Per capire dove andare bisogna guardare dove si è già stati. O ricordarlo, almeno.