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Qualche anno fa mi chiedevo se avrei mai più letto libri. Forse era un periodo in cui ne leggevo molto pochi, forse ero più interessato a seguire serie TV o a guardare film. Forse, cosa più probabile, non c’era nessun libro che miandasse davvero di leggere. 

Abituato a considerare la lettura un piacere e un dovere – e soprattutto un’abitudine edificante e quindi moralmente lodevole – prefiguravo già scenari apocalittici in cui il libro sarebbe scomparso, almeno dalle mie occupazioni quotidiane. Naturalmente il concetto del libro in quanto tale era indifferente al concetto che ne avevo io, che è come dire che il fatto che io ne leggessi pochi o nessuno non decretava la loro prossima estinzione. L’impressione era più ascrivibile a quanto al tempo mi considerassi paradigma di fenomeni sociali e culturali; col tempo – per fortuna – ho capito di non essere paradigma manco della mia vita, figuriamoci di quelle altrui.

Che giro lungo per dire che il fatto che leggessi poco non significava altro che leggevo poco.

Oggi sto leggendo dieci libri contemporaneamente. Ovviamente non tutti e dieci ogni giorno ma c’è un segnalibro in ognuno di loro e almeno un paio li leggo ogni giorno. Mi diverto a guardarli in posa di fronte a me, in attesa della scelta: 

Quale leggiamo adesso? Chi merita il mio tempo? 

Diciamo che questa è l’unica libertà aristocratica che mi concedo, non potendo permettermi altro di aristocratico che una certa affettata supponenza nello scegliere quali pagine leggere, oggi.

Il piacere di annusare un libro nuovo, di annotarlo e di palpeggiarlo è rimasto una costante immutabile nella mia vita. Molte altre abitudini che mi davano sicurezza e piacere una volta hanno perso sapore ma l’oggetto libro ha sempre la capacità di esercitare un magnetismo incontrollabile sulla mia psiche. Devo prenderlo in mano, devo sfogliarlo, devo averlo. 

Uso il Kindle ma non è la stessa cosa, naturalmente. Lo considero una pratica soluzione da viaggio o l’unica soluzione se il libro che stai leggendo è Infinite Jest di Wallace e non vuoi sfondarti lo sterno mentre lo leggi a letto. Per il resto leggere un libro elettronico è come mangiare un pezzo di polistirolo all’aroma di carbonara invece che la carbonara vera e propria. Il contenuto è lo stesso ma l’esperienza è completamente diversa. 

[L’esperienza: ci sarebbe da scrivere anche su questo, specie per come e cosa è diventata in quanto categoria psicologica per la contemporaneità: siccome abbiamo tutto e non vogliamo più niente – o meglio, non ne abbiamo bisogno – allora cerchiamo le esperienze, cioè le compriamo. Ma divago]

Ultimamente ho anche cambiato le mie abitudini di lettura: prima dovevo sempre finire un libro iniziato, ora lo abbandono senza problemi. Prima dovevo leggere ogni singola pagina, ora ho capito che anche i grandi scrittori scrivono pagine meno riuscite (alcune insindacabilmente noiosissime) e allora considero di fare un favore a loro più che a me saltandole. Lo faccio per non costruire un ricordo insostenibile della lettura di un certo libro, e per conservare solo quello del piacere. Facendo un favore a me, lo faccio anche a chi l’ha scritto. Ecco come risolvere con eleganza una questione annosa: saltare intere pagine di un libro? Senza alcun timore né remora.

A proposito dell’abbandonare libri, si narra che un giorno Jorge Luis Borges fu fermato per strada da un uomo che gli disse che non gli era molto piaciuto il suo ultimo libro. Borges gli rispose:

Non c’è problema, non era stato scritto per te.

Dietro l’apparente sprezzo di Borges c’è in realtà una grande umanità e un’ancor più grande verità: non tutti i libri vanno bene per tutti, ci sono libri che piacciono ad alcuni e non piacciono ad altri, non c’è niente di male a non amare o addirittura non sopportare un libro che non ci piace.

Siamo vittime del feticismo del libro che è in parte indotto dall’educazione e in parte autoindotto (alcuni ne sono immuni, altri fieramente immuni): siccome ci hanno sempre ripetuto che leggere è importante e forma il carattere e ti fa imparare tante belle cose, il non leggere ci dovrebbe trasformare automaticamente in creature abiette e bestiali.

Come nota Austin Kleon inoltre, questa constatazione ne porta con sé un’altra ancor più interessante: un libro che non ci è piaciuto a 20 anni potrebbe piacerci a 40 perché noi stessi siamo composti da diversi “noi stessi”: il “noi stessi” dei 20 anni è diverso o può essere diverso da quello dei 40 e quindi ciò che non ci piaceva allora può piacerci adesso e viceversa.

A vent’anni per esempio divoravo Thomas Bernhard; anni fa l’ho riletto con una certa fatica. Forse l’impeto e la dislocazione della gioventù si sono stemperati e la pacatezza dei tardi anni trova meno corrispondenza nell’odio che spilla dalle righe di Bernhard. Oppure — ma leggendo più lentamente — vi si scorge un velo filosofico e meditativo che la virulenza della prosa rischia di nascondere.

Il discorso si può estendere anche a come viene venduto il libro oggi (e ormai da tanti anni in Italia): se ci si fa caso, il marketing del nostro sempre più difficile mercato editoriale è basato su un tipo di comunicazione che mi auguro scompaia presto, e cioè quello del senso di colpa. In Italia si legge poco, gli italiani sono analfabeti, gli italiani leggono solo le istruzioni del nuovo cellulare ecc. A messaggi del genere il buon lettore reagisce sentendosi elevato e nel giusto e guardando con disgusto chi non legge o lo fa poco, oppure si sente in colpa pure per chi non alza la media nazionale dei lettori (come se dipendesse da lui). Ci sono buone possibilità che chi non legge del tutto se ne freghi di discorsi del genere, non si senta in colpa e faccia benissimo a farlo.

C’è poi da considerare l’importanza della cultura (di cui il libro è uno strumento) nella società. Un interessante discorso fatto da Erik Hoel su

The Intrinsic Perspective affronta il problema dal punto di vista degli scrittori e delle loro possibilità di acquisire una qualche fama. Nel tempo storico della massificazione di qualsiasi particolare (tutti vogliamo qualcosa di esclusivo, e l’esclusivo finisce per non essere più tale), il desiderio più realistico di chi scrive è quello di avere un pubblico più che di diventare famoso o rispettato. Più tutto è massificato, meno è possibile emergere o diventare un qualche tipo di autorità. 

What do people expect anyways? To be famous? As a writer? Are you kidding? There’s no such thing. Even famous authors aren’t actually famous, not anymore. Sally Rooney, perhaps the most critically-acclaimed young literary author, can walk down any street in America and will never be recognized. All the old giants are dead. There is no literary 80s “brat pack”—all those careers are unreplicable now. And that’s just being Bret Easton Ellis, let alone an actually famous historical author.
Erik Hoel  

Se insomma si vuole portare le persone verso i libri e i libri verso le persone, il miglior modo per non riuscirci è dirgli quanto ignoranti sono e farle sentire in difetto. Eppure è un modello perpetrato da decenni e corroborato dallo sprezzo di alcuni lettori sofisticati (o presunti tali) che inorridiscono leggendo chi c’è nelle prime posizioni delle classifiche dei libri più venduti.

Il libro è latore di un contenuto e il contenuto non è nobilitato dal fatto di trovarsi all’interno di un oggetto venerato come il libro stesso.

L’abito non fa il monaco, il libro non fa un buon libro, con buona pace di chi è primo in classifica che, almeno, ha il merito di “costringere” decine di migliaia di persone a leggere qualche riga.

Eppure dopo qualche anno, dopo aver creduto che non avrei più letto o che avrei letto sempre meno, mi trovo a leggere molti libri in contemporanea. La regola pennacchiana (nel senso di Pennac) che autorizza il lettore ad abbandonare un libro mi ha fatto capire che non si tratta di far loro un torto ma anzi: abbandonando la lettura di un libro non si abbandona il concetto di libro ma si fa solo spazio per altri libri. Ci sono così tanti libri interessanti che è un peccato preferirne altri che non ci interessano o che, semplicemente, non sono stati scritti per noi.

Infine — ed è un altro consiglio che dà Borges — “Se un libro ti annoia, smetti di leggerlo. Leggere deve essere un piacere”.

Leggere per forza un libro comporta solo che si sviluppi una perniciosa antipatia per l’atto di leggere che invece dovrebbe essere deliberato e gioioso perché, quando è fatto con convinzione e partecipazione, rimane sempre una delle cose più belle del mondo.

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