Del resto tutta la sua opera è sempre stata un tentativo di dialogo con il passato, spesso cercando di emendarlo, di riaggiustarlo, come nel caso di Trailer for a remake of Gore Vidal’s Caligula che in origine era un film di Tinto Brass che soffrì problemi realizzativi e distributivi e di cui girò nel 2005 un trailer (in alcuni casi utilizzando gli stessi attori che parteciparono all’originale) per rendere onore alla sceneggiatura di Vidal e risarcire il grande americano, che vi partecipò divertito (dopo aver abbandonato il progetto originario che riteneva avesse tradito il suo lavoro).
Nel caso di TV 70 Vezzoli non vuole nemmeno prendere una macchina del tempo per tornare a quei pomeriggi trascorsi a guardare la TV. Forse anche in questo caso ciò che gli interessa è capire a che punto qualcosa è andato storto, ritornando indietro sui passi di tutti noi, di una nazione intera.
Nell’apparente libertismo dei suoi video precedenti c’era invece un forte moralismo, ma non inteso negativamente. C’è anche un moralismo che non condanna a posteriori, che è più interessato a un’indagine sulla materia e sulla costruzione della società o infine che analizza come una generazione è diventata adulta e che strade ha scelto, che progetto ha messo in atto.
Vezzoli individua in quegli anni una splendida adolescenza — sfrontata e fantasiosa, violenta ma prolifica — che è diventata un corpo adulto irriconoscibile: egoista, egocentrato, incattivito, depresso e senza alcuna intenzione di immaginare un futuro diverso.
Cosa è successo? Il terrorismo ci ha tolto l’innocenza? Abbiamo perso ogni incanto crescendo? Di certo abbiamo perso la capacità di immaginare e sperimentare. Abbiamo scambiato il capitale umano con quello economico.
Oggi non si fa più niente per il gusto di provarci, per la pura sperimentazione. Oggi solo ciò che produce reddito ha diritto di finire in tv e quindi si riproduce sempre lo stesso medesimo spettacolo. Gli scarti sono minimi e sempre molto controllati e pianificati per garantire all’investitore il ritorno dei soldi che ha speso.
Non vorrei fare la critica del capitalismo e neanche dire che poi a un certo punto tutto è diventato meno interessante. Credo che a quel tempo la televisione fosse talmente giovane che nessuno sapeva ancora bene come usarla. Non c’era nemmeno l’incubo per gli autori e le produzioni degli ascolti. Forse facevano cose senza saper bene quanti le vedevano.
Popolarità e influenza
Da quando la tv è commerciale (compresa quella pubblica) l’unico parametro che importa è un numero: gli ascolti. È la misura della popolarità e quindi dell’appetibilità commerciale di una trasmissione televisiva. Sarà che sono anni che non guardo più la tv ma mi chiedo quali saranno fra 20 anni le trasmissioni memorabili. Un 40enne del 2040 cosa si ricorderà di questi anni? Il Vezzoli del futuro cosa rimonterà? Avrà materiale interessante? Non penso proprio. In questi decenni abbiamo scambiato la popolarità di qualcosa per il fatto che fosse anche culturalmente rilevante. Ci sono trasmissioni molto popolari che hanno un’influenza inesistente e che non ricorderà più nessuno e altre che hanno un pubblico meno vasto ma molta più forza di influenzare la cultura. Ci sono scrittori, registi, fotografi, designer e stilisti molto famosi che non lasceranno niente, che hanno vissuto per produrre capitale e non cultura e che finiranno cancellati dalla storia. Altri, invece, che influenzarono e influenzeranno molto di più e più profondamente pur non avendo avuto grande popolarità.
Ci sono anche artisti come Vezzoli che, pur educati in maniera raffinata, sono attratti proprio dall’indagine sulla cultura popolare. Forse perché il desiderio di ogni artista è non solo quello di dire ma soprattutto di essere ascoltato e capire il meccanismo che rende popolare un’invenzione intellettuale è il sacro Graal di ogni intellettuale. Forse, infine, Vezzoli è in questo caso più intellettuale che artista — forse più curatore che altro, ma non è affatto un demerito, perché si può permettere di essere un curatore a-scientifico. Proprio quando espone la sua intimità parlando della sua gioventù — costruendoci addirittura un’intera esposizione attorno — Vezzoli è meno artista di quanto ci si aspetterebbe da lui: l’unica sua vera opera esposta a TV 70, cioè il video Trilogia della Rai proiettato nel Cinema della Fondazione e costruito su spezzoni di trasmissioni RAI montati in modo da creare dialoghi e connessioni fra frammenti di televisione distanti negli anni e negli intenti, è una specie di super Blob o di Blob molto artistico perché l’ha fatto Vezzoli ma non ha la raffinatezza intellettuale di altre sue opere video. Non è una rifondazione come nel caso di Caligula, non è un telefilm trasformato in arte come era Democrazy. È un’opera intelligente e divertente, ma non molto più.
E in fondo lo trovo coerente, perché l’opera di Vezzoli più importante esposta a TV 70 non è Trilogia della Rai ma è l’intera Tv 70. Di cui Vezzoli è, già dal titolo, non solo il curatore ma il capolavoro esposto in quanto tale. È lui che guarda la TV, non la TV di quegli anni in quanto tale.