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Francesco Vezzoli guarda la TV

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Francesco Vezzoli guarda la TV

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Di opere di Vezzoli alla sua mostra alla Fondazione Prada non ce ne sono o quasi. Si potrebbe anzi dire che tutta la mostra in quanto corpus sia la sua unica opera, composta di singole opere di diversi artisti. Del resto Vezzoli è famoso per quel tipo di arte — la videoarte — per la quale ancora ci si chiede se sia paragonabile alle altre (la mia risposta: sì, per quanto resti il dubbio della sua durabilità e conservazione) e raccogliendo questa TV 70 tutti brani della televisione italiana di quegli anni, si può dire che presi nel loro insieme questi siano una nuova opera di Vezzoli, che è più un montatore o un selezionatore in questo caso, senza nulla togliergli (la mostra è realizzata in collaborazione con Massimo Bernardini e Marco Senaldi e il percorso espositivo è stato progettato da Mathias Augustyniak e Michael Amzalag).

La mostra si articola in diversi luoghi della Fondazione. In ognuno vi sono video, in alcuni anche opere di artisti del tempo, confrontate a interviste a loro stessi. Quindi vedi un Guttuso e dietro di te c’è lui stesso che ne parla e non è male, affatto. A parte la cacofonia assordante che questo comporta: sebbene l’audio sia diretto solo verso l’osservatore, non si riesce a non ascoltare il brusio degli altri artisti che borbottano a fianco e dietro di te. Potrebbe essere una sottile costruzione della curatela di Vezzoli a ben pensarci: artisti che parlano addosso a se stessi e ad altri artisti. Potrebbe, ma il baccano è davvero notevole.

Vezzoli dice che dopo aver vissuto 20 anni negli USA e solo dopo essere tornato recentemente in Italia si è accorto di quanto la amasse. Però l’ha trovata sfiduciata e piegata su se stessa. Quindi è ritornato a quegli anni trascorsi a guardare la tv per interi pomeriggi, quando i suoi genitori lo lasciavano a casa con la nonna. A quel tempo la televisione non era come oggi. Non era uno elettrodomestico passivo ma c’era ancora una qualche illusoria fiducia nella sua funzione educativa. Per questo capitava di vederci interviste ad artisti e attori e registi che allora, cosa impensabile oggi, erano stimati per il loro ruolo intellettuale e quindi sociale. Si pensava che, magari incomprensibili ma poiché artisti, andassero ascoltati.

Oggi gli artisti sono ascoltati solo all’interno dei loro circoli o se ne vanno in tv solo se hanno fatto un qualche successo oceanico che non si può fingere di non vedere. Ma normalmente è impossibile vederli nella tv del pomeriggio che non guardo poi nemmeno più perché non ho tempo o voglia e perché quel poco che ne ho visto mi ha fatto pensare che si sia trasformata in qualcosa di orrendo che non voglio vedere. Comunque: al tempo vedevi altre cose e di grande qualità. C’è un Proietti per esempio che mette in scena uno Shakespeare sperimentale di grande forza e poi pensi che ora Proietti fa qualche serie tv forse e il teatro lo fa solo a teatro e quel teatro in tv non ci arriverà mai. Tutta la prima parte di TV 70 è piena di questi frammenti, assieme a opere del tempo allestite con espositori molto evidenti e sproporzionati, quasi dei totem fatti di volumi sovrapposti, che se citano qualcosa beh, quel qualcosa m’è sfuggito.

Un’altra sezione è introdotta da una sala di ritagli di giornale di Nanni Balestrini che prepara a una selezione dei telegiornali che annunciavano le sciagure che hanno segnato l’Italia moderna: l’Italicus, l’omicidio di Walter Tobagi, quello di Pasolini, la gambizzazione di Montanelli, il terremoto in Friuli. Negli anni ’70 accaddero tutte queste cose e molte altre e sarà il vederle tutte assieme, ma si riesce addirittura a pensare che non viviamo in tempi così sciagurati.

Ma non è un percorso filologico e non è una mostra didascalica questa. Vezzoli è pur sempre un artista e quindi la sua opera è quella del curatore, forse di un artista curatore o viceversa: uno che usa le opere di altri per riarrangiarle in una nuova opera. Di certo qualcosa di diverso da un curatore perché Vezzoli si libera della necessità scientifica e rimonta la realtà passata secondo la sedimentazione delle sua memoria o il vezzo del suo senso artistico.

Del resto tutta la sua opera è sempre stata un tentativo di dialogo con il passato, spesso cercando di emendarlo, di riaggiustarlo, come nel caso di Trailer for a remake of Gore Vidal’s Caligula che in origine era un film di Tinto Brass che soffrì problemi realizzativi e distributivi e di cui girò nel 2005 un trailer (in alcuni casi utilizzando gli stessi attori che parteciparono all’originale) per rendere onore alla sceneggiatura di Vidal e risarcire il grande americano, che vi partecipò divertito (dopo aver abbandonato il progetto originario che riteneva avesse tradito il suo lavoro).
Nel caso di TV 70 Vezzoli non vuole nemmeno prendere una macchina del tempo per tornare a quei pomeriggi trascorsi a guardare la TV. Forse anche in questo caso ciò che gli interessa è capire a che punto qualcosa è andato storto, ritornando indietro sui passi di tutti noi, di una nazione intera.

Nell’apparente libertismo dei suoi video precedenti c’era invece un forte moralismo, ma non inteso negativamente. C’è anche un moralismo che non condanna a posteriori, che è più interessato a un’indagine sulla materia e sulla costruzione della società o infine che analizza come una generazione è diventata adulta e che strade ha scelto, che progetto ha messo in atto.
Vezzoli individua in quegli anni una splendida adolescenza — sfrontata e fantasiosa, violenta ma prolifica — che è diventata un corpo adulto irriconoscibile: egoista, egocentrato, incattivito, depresso e senza alcuna intenzione di immaginare un futuro diverso.

Cosa è successo? Il terrorismo ci ha tolto l’innocenza? Abbiamo perso ogni incanto crescendo? Di certo abbiamo perso la capacità di immaginare e sperimentare. Abbiamo scambiato il capitale umano con quello economico.

Oggi non si fa più niente per il gusto di provarci, per la pura sperimentazione. Oggi solo ciò che produce reddito ha diritto di finire in tv e quindi si riproduce sempre lo stesso medesimo spettacolo. Gli scarti sono minimi e sempre molto controllati e pianificati per garantire all’investitore il ritorno dei soldi che ha speso.

Non vorrei fare la critica del capitalismo e neanche dire che poi a un certo punto tutto è diventato meno interessante. Credo che a quel tempo la televisione fosse talmente giovane che nessuno sapeva ancora bene come usarla. Non c’era nemmeno l’incubo per gli autori e le produzioni degli ascolti. Forse facevano cose senza saper bene quanti le vedevano.

Popolarità e influenza

Da quando la tv è commerciale (compresa quella pubblica) l’unico parametro che importa è un numero: gli ascolti. È la misura della popolarità e quindi dell’appetibilità commerciale di una trasmissione televisiva. Sarà che sono anni che non guardo più la tv ma mi chiedo quali saranno fra 20 anni le trasmissioni memorabili. Un 40enne del 2040 cosa si ricorderà di questi anni? Il Vezzoli del futuro cosa rimonterà? Avrà materiale interessante? Non penso proprio. In questi decenni abbiamo scambiato la popolarità di qualcosa per il fatto che fosse anche culturalmente rilevante. Ci sono trasmissioni molto popolari che hanno un’influenza inesistente e che non ricorderà più nessuno e altre che hanno un pubblico meno vasto ma molta più forza di influenzare la cultura. Ci sono scrittori, registi, fotografi, designer e stilisti molto famosi che non lasceranno niente, che hanno vissuto per produrre capitale e non cultura e che finiranno cancellati dalla storia. Altri, invece, che influenzarono e influenzeranno molto di più e più profondamente pur non avendo avuto grande popolarità.

Ci sono anche artisti come Vezzoli che, pur educati in maniera raffinata, sono attratti proprio dall’indagine sulla cultura popolare. Forse perché il desiderio di ogni artista è non solo quello di dire ma soprattutto di essere ascoltato e capire il meccanismo che rende popolare un’invenzione intellettuale è il sacro Graal di ogni intellettuale. Forse, infine, Vezzoli è in questo caso più intellettuale che artista — forse più curatore che altro, ma non è affatto un demerito, perché si può permettere di essere un curatore a-scientifico. Proprio quando espone la sua intimità parlando della sua gioventù — costruendoci addirittura un’intera esposizione attorno — Vezzoli è meno artista di quanto ci si aspetterebbe da lui: l’unica sua vera opera esposta a TV 70, cioè il video Trilogia della Rai proiettato nel Cinema della Fondazione e costruito su spezzoni di trasmissioni RAI montati in modo da creare dialoghi e connessioni fra frammenti di televisione distanti negli anni e negli intenti, è una specie di super Blob o di Blob molto artistico perché l’ha fatto Vezzoli ma non ha la raffinatezza intellettuale di altre sue opere video. Non è una rifondazione come nel caso di Caligula, non è un telefilm trasformato in arte come era Democrazy. È un’opera intelligente e divertente, ma non molto più.

E in fondo lo trovo coerente, perché l’opera di Vezzoli più importante esposta a TV 70 non è Trilogia della Rai ma è l’intera Tv 70. Di cui Vezzoli è, già dal titolo, non solo il curatore ma il capolavoro esposto in quanto tale. È lui che guarda la TV, non la TV di quegli anni in quanto tale.

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