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Birdman

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Birdman

Se ripenso a un film il giorno dopo averlo visto, allora vederlo ha avuto un senso. Con Birdman non è successo

Innanzitutto, per essere un film di Alejandro González Iñárritu è già qualcosa (spoiler, sorry) che non muoiano tutti i personaggi.

 

Piano sequenza

Il piano sequenza — quella particolare tecnica cinematografica che consiste nel non staccare mai la cinepresa, nel riprendere tutto senza soluzione di continuità — vive in Birdman la sua apoteosi: dura 159 minuti, esattamente dall’inizio alla fine. Il suo senso in questo film è quello di essere la rappresentazione più realistica possibile di una soggettiva reale. Tu sei spettatore e non fai tecnicamente parte dell’azione, eppure non ne hai scampo, ci devi essere, ci devi stare dentro.
Non ti dà tregua ed è esattamente come la vita: quando sbatti le palpebre compi un gesto così naturale e automatico che letteralmente non stacchi mai la macchina da presa mentale.


Inizialmente è magico: il piano sequenza è sempre una prova muscolare che il regista vuole dare. È poi anche una notevole prova per gli attori che non devono sbagliare niente per lunghissime sequenze (ebbene sì, il piano sequenza di Birdman ha degli evidenti stacchi, e ne ha molti di più “creati” all’uopo e con grande maestria, ma non conta). Poi diventa fastidioso (Dio mio, quando finisce? Non ce la faccio più. Adesso sbaglia. Guarda che sbaglia. Qui taglia, qui ha sbagliato). Invece no, non sbaglia mai. Ma non sbaglia perché la tecnica lo assiste e perché poi è come giocare con Federer: dopo aver scambiato 3 palle gli metti contro Murray e ti godi lo spettacolo sugli spalti. Non c’è gioco.
Ok, piano sequenza. Ok, non ci bado più. Iñárritu non lo usa per strafare ma perché gli serve. Dice qualcosa. Tu spettatore sei dentro l’azione. Bene, ci sto, funziona.

 

 

Uomo o supereroe?

Michael Keaton è Riggan Thompson, un attore celebre per essere stato l’immaginifico supereroe Birdman, che tenta di dimostrare le sue doti attoriali recitando e producendo una sua riscrittura di Raymond Carver a Broadway. Un uomo che cerca il riscatto, che vuole dimostrare di essere un attore. Ma il mio dubbio (o la mia lettura) di Birdman è che lui cerchi invece di essere uomo, che lo voglia dimostrare. Perché Riggan in realtà è davvero un supereroe: è capace di volare e di spostare oggetti. È la sua fantasia che glielo fa credere? È lo stress da prima di Broadway? Non si sa e non è interessante saperlo. Iñárritu descrive la varia umanità che produce uno spettacolo teatrale, le antipatie e le invidie, le delusioni e le incomprensioni, ma sempre mantenendo il centro su quest’uomo, o quel che è. Un uomo divorato dal suo successo prima e ora, invecchiato senza aver trovato se stesso, alla ricerca di una conferma. Quella del successo? Del riconoscimento del pubblico? No. Quella di essere un qualcosa. Un uomo o un supereroe.
Carver stesso dice “Cosa volevi dalla vita? Potermi dire amato, sentirmi amato sulla terra.”

 

Il mestiere

C’è molta astuzia in questo film: nella tecnica usata, negli indizi disseminati qua e là, nelle citazioni. L’astuzia per me nasconde sempre qualcosa di irrisolto: non c’è neanche l’urgenza di raccontare una storia, quel bisogno che ti fa inciampare nella narrazione rendendola alla fine più reale. Il mestiere indica anche il controllo totale e il controllo ce l’hai quando sai come fare una cosa o sai come raccontarla. Iñárritu recita bene il ruolo del regista: conosce la tecnica, conosce le parole giuste, le dice al momento giusto. Ma non riesce a dire tutto o a nascondere bene che una storia davvero solida non ce l’ha. Ci sono parti — come i dialoghi sulla celebrità ai tempi di Twitter e Youtube- che fra 10 anni sembreranno paleolitici e che non spiegano cosa significhi vivcre con questi particolari mezzi di comunicazione. Anzi: di rappresentazione. Della personalità di un attore, per esempio. Accenna mozziconi di discorsi che non risolvono niente, messi in bocca alla figlia di Riggan che tenta di spiegare al padre il potere di questi strumenti come la nipote lo spiegherebbe alla bisnonna. Non c’entrano niente nella narrazione. Li puoi togliere? Sì, non cambia nulla.
Ma al momento glieli perdoni perché la storia è così ben raccontata e così poetica, lui che vola, lui che soffre, lui che. Lui che è narrato in un film così ben fatto che sembra studiato apposta per avere 752 nomination all’Oscar, probabilmente una anche per le piume dell’uccello.

 

Il dubbio

Eppure ho avuto il dubbio che la ricerca della propria natura (umano o supereroe) non fosse esattamente questo quello che voleva Birdman/Riggan. Ci sono alcuni dettagli che lasciano intendere -probabilmente solo per un gioco sadico di Iñárritu- che lui sia davvero un supereroe: le sequenze del meteorite che incendiandosi disegna una scia nel cielo sono situate in diverse parti del film, come a voler suggerire che lui è davvero arrivato sulla terra. Che non le appartiene. Che non cerca approvazione su questo corpo celeste. Cerca solo di capire chi e cosa è. Uomo? Non sembra. La sua preoccupazione per le sorti dello spettacolo è ben recitata ma non reale. Keaton recita perfettamente la parte di chi sta interpretando 3 ruoli per celare quello reale: il produttore, l’attore in cerca di riscatto e l’uomo. Ma la natura che cela è un’altra ed è quella della creatura schiantatasi sulla terra un giorno di decenni fa, poco prima di diventare Birdman: un supereroe per gli umani, se stesso infine: una creatura non-umana. Protagonista di un film fin troppo ben fatto per essere un film.

 

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