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Scrivere

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Il più delle volte quello che scrivo qui ogni settimana nasce da una sola parola o un concetto. “Silenzio”, “poesia”, “tecnologia”, “linguaggio”. Non sono semplici parole, chiaramente: sono concetti o, appunto, pensieri lunghi attorno ai quali giro per mesi o anni.

Una cosa che mi capita spesso è che quando inizio a scriverne non ho un’idea precisa di dove andrò a parare. È pur vero che si tratta di argomenti sui quali ho riflettuto a lungo eppure molto spesso se ne sono rimasti nell’angusto spazio della scatola cranica. Per poterli “dire” devono essere pensati in maniera chiara e poi espressi altrettanto chiaramente.

Eppure quando inizio a scriverne non ho in testa altro che un vago svolgimento, forse un solo punto di partenza e qualche sviluppo, quasi certamente non una fine.

Scrivere non è solo l’atto di sistemare e dire le cose (per poterle dire, prima di tutto, devi averle ordinate in testa, cioè averle chiare nella mente) ma soprattutto di scoprirle. La scrittura è un atto di scoperta più che di comunicazione. La parola scritta (o detta) è comunicazione ma il processo mentale che ha portato a quella parola non è comunicazione ma piuttosto disvelamento.

Del resto non è possibile scrivere se non si ha qualche traccia mentale da seguire e la cosa straordinaria della scrittura (una delle tante) è che funziona come una luce che illumina una mappa. Usandola e praticandola, porta allo scoperto i segni della mappa, le annotazioni, i nomi dei luoghi e i percorsi. Per questo dell’itinerario si conosce solo l’inizio ma non la fine. Tantomeno che traccia seguirà, perché quella sarà svelata solo lungo il cammino.

Eppure conosco pochi altri processi mentali capaci di essere più prolifici della scrittura: comunque la si affronti e pratichi, da qualche parte condurrà.

Un’altra qualità che ha è quella di svuotare la mente, oltre che ordinarla. Una volta che i concetti escono dalla mente e si riversano sulla carta, magicamente liberano spazio per altri concetti. Se non vengono scritti si perdono in rivoli sotterranei che si nascondono nei meandri cerebrali e, allo stesso tempo, se trovano una forma scritta acquistano una diversa forma, diventando oggetto comunicabile. I diari servono a questo: a fermare un’immagine del ricordo ancora nitida (per questo vanno scritti subito) per non permettere alla memoria di modificarla nel tempo. Ma questo è un altro discorso e un altro tipo di scrittura.

Quella di cui volevo parlare oggi è quella di concetti o ragionamenti che iniziano in un modo e finiscono in modo imprevedibile. Oggi ho scritto di uno strumento del pensiero lungo più che di un pensiero lungo. Del resto i pensieri non avrebbero mai una forma se non vi fossero strumenti capaci di dargliela: la parola in primo luogo, scritta o detta.

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