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La perfezione è pornografica

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La perfezione è pornografica

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Uno dei pensieri che mi accompagna dalla prima volta che ho visto qualcosa di bello riguarda il concetto di bellezza. O forse, meglio, la percezione della bellezza.

Non ricordo cosa fosse quel qualcosa di bello che vidi ormai decine di anni fa: forse un tramonto, forse un giocattolo, forse una persona, chissà.

Al di là dei gusti personali, esiste una categoria di oggetti — mentali, artistici, intellettuali, commerciali anche — che sono oggettivamente belli. Il problema della percezione della bellezza è che ha più a che fare con la sua manifestazione, o meglio: che spesso — sempre, direi — viene confusa con la perfezione. Parlando di perfezione dovrei poi meglio specificare “ciò che comunemente si intende per perfezione”, e cioè la mancanza di difetti.

La bellezza è insomma una caratteristica di ciò che è perfetto, forse la sua caratteristica principale. Il che mi porta a parlare della seconda scoperta che feci dopo quella della bellezza, ossia che la perfezione è noiosa.

Me ne accorsi negli anni, da indizi e sensazioni più che da razionalizzazioni coscienti. Guardare donne bellissime, persone vestite in modo inappuntabile, opere d’arte o presunte tali totalmente prive di difetti mi annoiava. Poi capii perché: la perfezione porta tutto alla superficie e anzi sta tutta sulla superficie. Non nasconde niente e non ha profondità. Non è molto interessante, alla fine.

Al contrario, i difetti sono variazioni della superficie, alludono a qualcosa che c’è oltre: sotto, in profondità, comunque non immediatamente percepibile. Questo altro non deve per forza essere visibile, quanto, piuttosto, deve lasciare intendere che vi sia altro, che ciò che si osserva non sia tutto. L’errore e l’imperfezione — che siano di un quadro o di un volto — alludono a qualcosa di invisibile materialmente perché nascosto o perché collocato altrove nel tempo: potrebbe essere già successo o potrebbe dover ancora succedere.

Ciò che è impreciso — ciò che non è perfettamente perfetto — allude a una storia, cioè a un oggetto mentale che si dipana in un prima e un dopo. L’imperfezione non è un difetto ma è la rappresentazione di qualcosa che può diventare: appare, non è, come la bellezza. Ha una certa dinamica, non appare in ogni suo risvolto in un attimo ma richiede tempo e osservazione e attiva la mente a chiedersi cosa c’è stato prima o cosa ci sarà dopo. Le fa immaginare una storia.

Per questo la bellezza è pornografica: non nasconde niente, non significa altro che sé stessa, si espone sconciamente. È tutta lì, davanti agli occhi di chi la osserva, e non ha molto altro da offrire. Non ha nient’altro da offrire, infatti.

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