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“Che ci faccio qui?”. Mi è tornato in mente quel libro notevole di Bruce Chatwin. In certi giorni sembra essere descrittivo di una condizione esistenziale molto personale, oltre che un (ottimo) titolo di un libro. Potrebbe essere un buon esercizio: quello di chiedersi ogni giorno, più volte al giorno “Che ci faccio qui?”.

Alcune situazioni offrono una risposta ragionevole, tipo al supermercato. Spero sia ovvio per chiunque si trovi al supermercato sapere perché ci si trova. Altre volte la risposta è meno immediata e, altre volte ancora, offre una risposta difficile da dare. “Non so bene cosa ci faccio qui, e non so nemmeno perché sono qui.”

Altre volte, infine, è meglio nemmeno porsela. Meglio non sapere, meglio non mettersi volutamente in difficoltà.

Ho notato però che le situazioni in cui so rispondermi con più facilità sono quelle meno prevedibili. Che ci faccio a teatro? Che ci faccio a questa mostra? Che ci faccio con un libro in mano? Credo di sapere rispondere a domande del genere. In quei momenti mi trovo in situazioni che mi permettono di essere fisicamente in un luogo ma mentalmente altrove.

Ci sono insomma condizioni che costringono corpo e mente a essere in un luogo e in una costrizione molto definita, e altre in cui si incontrano diverse dimensioni: si è lì e anche altrove, contemporaneamente. Succede con l’arte. Io li chiamo portali e mi ci trovavo giorni fa, a una mostra.

Se dovessi dire quali sono i luoghi in cui sono più a mio agio, direi i musei, le gallerie d’arte, al cinema, a un concerto.

Alcuni sono luoghi in cui si celebrano eventi collettivi (e quindi non ci si può definire davvero soli, standoci), altri sono spazi fisici in cui sentirsi soli, ma piacevolmente. In un museo ci sono altre persone, ovvio, ma quello che intendo è che l’esperienza che vi si vive è individuale. Sono da solo di fronte a un quadro, sono da solo di fronte a un palco. Il rapporto che si crea fra l’osservatore e l’opera d’arte è particolare e singolare: lo dimostra il fatto che alcuni lo percepiscono e altri affatto.

In realtà il fenomeno a cui si assiste in questi frangenti è ben più affascinante: certo, ci si trova al cospetto di un’opera dell’ingegno e della creatività ma ci si trova soprattutto di fronte a un portale dimensionale, che inoltre contiene diverse dimensioni.

Ha una dimensione simbolica e un significato (se ce li ha), ne ha una storica, ne ha una umana. E sono solo le prime che mi vengono in mente.

Quella simbolica e di significato attinge alla lettura culturale che un’opera riceve, comprensibilmente condizionata dal contesto storico in cui avviene. Opere oltraggiose al loro concepimento sono pudiche oggi e viceversa, opere popolari allora sono sconosciute oggi. Le reazioni che suscitano nell’osservatore contemporaneo dipendono insomma dal tempo e dall’evoluzione o involuzione della cultura. E quanto detto concerne anche la dimensione storica delle opere d’arte, ossia ciò che dicono rispetto al tempo in cui sono osservate. Che è poi la differenza fra senso e significato, ma non mi ci addentro ora.

Quella umana è la più sfumata ma crea un legame fra chi ha creato e chi osserva la creazione. Lo notavo parlando della Flagellazione di Piero Della Francesca, quando mi ci trovai di fronte anni fa. In quel caso l’opera d’arte è un portale che mette in contatto una dimensione passata con quella presente. Io osservo oggi un’opera dipinta, scritta, scolpita 10, 100, 1000 anni fa.

È un rapporto che si immagina abbastanza scontato: è ovvio che può esistere, c’è, lo si vede ma cosa dice di più di una constatazione ovvia il fatto che oggi possiamo godere di una pala d’altare dipinta nel 1480?

Innanzitutto potremmo dire che è notevole il fatto che se ne possa godere, e già questo è qualcosa. Ma l’aspetto più interessante è, appunto, che esistendo e, nel farlo, aprendo un portale che connette dimensioni temporali diverse, la cornice del quadro è lo stipite e l’architrave e la soglia di una porta.

Guardando un quadro guardiamo altrove, dietro un quadro non c’è un muro ma c’è un altro universo o un altro tempo storico.

Il fatto che l’arte attraverso la sua espressione (cioè le opere d’arte) possa annullare il tempo, comprimendolo e rendendolo adimensionale (se il passato diventa presente, il tempo trascorso è diventato irrilevante, non esiste più) mi sembra un fatto notevole, che tra l’altro definisce una proprietà non trascurabile dell’arte, che è quella di non essere condizionabile dal tempo. Con ciò non intendo che non lo siano le letture che ne se dà (come visto, quelle dipendono dal contesto storico) ma la sua essenza.

L’opera d’arte appartiene a una dimensione indifferente al tempo.

C’è, infine, un altro aspetto interessante della questione. L’opera d’arte deve essere attivata nel tempo corrente, dato che, altrimenti, resterebbe materia o concetto, quindi parte indifferente e trascurabile del panorama. Un dettaglio marginale, significativo come un sasso in un torrente (che io, a dirla tutta, trovo molto significativi).

Comunque. Il fenomeno straordinario è che i quadri/le opere d’arte sono portali che si attivano solo attraverso gli esseri umani. La chiave è evidentemente il significato che hanno ma non è nemmeno questo l’aspetto più interessante.

Insomma, camminavo a una mostra fra queste tele e tavole di 500 anni fa e ho capito che noi – io, tu, noi, loro – siamo i portali attraverso cui il loro significato si riaccende oggi. C’è insomma un rapporto di co-dipendenza fra un Cristo in croce e noi, per quanto e in che misura lo possiamo cogliere. Fatto da uomini per gli uomini, la sua esistenza e persistenza dipendono da noi.

Siamo i custodi del passato e non ne siamo solo il risultato né le vittime, se tali ci sentiamo.

Abbiamo una responsabilità verso i vascelli che sono giunti alle spiagge del presente attraverso il mare del tempo. Di conservarli e preservarli, di interpretarli e di parlarci. Specie nella dimensione di eterno presente in cui oggi viviamo, quella in cui tutto sembra ugualmente prossimo e importante perché raggiungibile con la mano o con la mente, che giungano questi messaggeri da un’altra dimensione è ancora più importante.

Allora guardo le loro mani, i loro occhi. Hanno guardato quelli che li hanno ritratti, hanno guardato la loro vita. Sono ancora vivi e hanno superato il tempo. Sono ancora fra di noi. Ci parlano. Il portale è aperto, basta vederlo e attraversarlo. Sta in una cornice, supera il tempo, è la risposta che cerchiamo.

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