Title

Paura

Excerpt

Date

Paura

Text

Mi chiede se ho paura di volare. Normalmente direi di no, che non ho paura di volare e in effetti volo, normalmente, senza pensarci. No, non ho mai avuto paura di volare, eppure dopo aver riposto che non ne ho paura la mia mente resta indietro, impigliata in quella domanda e nella mia risposta.

Davvero non ho paura di volare?

Non ne sono davvero sicuro, altrimenti non avrei indugiato a rispondere, o piuttosto sulla mia reazione nel farlo. Ci ho pensato un po’, – un po’ dopo – quindi c’è qualcosa sotto. Ho il sospetto che non si tratti di non avere paura di volare ma di avere paura di aver paura di volare.

Per spiegarmi meglio non mi limito a rispondere che non ho paura, ma faccio un esempio. Si dice che non bisognerebbe mai guardare nella bocca del vulcano. Forse è un modo triangolato per dire che non bisognerebbe trovarsi proprio lì durante un’eruzione ma, almeno metaforicamente, significa che guardare la verità o la realtà senza alcun filtro è una cosa da evitare. Ecco, io dico che è come camminare sulla bocca del vulcano: la cosa da fare, l’unica davvero intelligente e sensata è non guardare mai dentro. Quindi non è che io non abbia paura di volare ma siccome so che ce l’avrei o ce l’ho, evito di pensare di averla. Credo che abbia a che fare con la razionalità, o meglio: riguarda come questa si mette fra l’istinto e la realtà, funzionando da filtro. L’istinto mi suggerisce di avere paura mentre la razionalità allontana la realtà e la possibilità di un esito nefasto: se guardassi nella bocca del vulcano ci finirei dentro, ma non se evito di farlo. Quindi la paura è un’espressione della razionalità o è una forma di controllo dell’istinto?

La paura è un’emozione e quindi ha poco a che fare con la razionalità. Semmai questa la può contenere, argomentando che non vi sono o meno le condizioni per provarla. La razionalità dà insomma una forma possibile allo stato emotivo: ne prende nota e valuta se sia sintomatico di qualcosa di significativo. L’emozione non è la realtà ma è solo una reazione a essa: il magma ribolle nel camino del vulcano, quindi provo paura.

La paura è anche la percezione di uno stato di cose che potrebbero sconvolgere l’ordine esistenziale, o almeno quello che si vuole considerare tale. Ecco perché i cambiamenti non volontari e a cui si è costretti sono vissuti spesso con paura e timore: non sono pianificati, non sono controllati e controllabili e quindi minacciano un ordine.

L’ordine è la forma che assume il controllo: da espressione della volontà diventa rappresentazione fisica della pianificazione. Le cose e la vita hanno la forma che gli è stata data: ogni cosa è al suo posto.

Eppure sappiamo – so, anche se non me lo ripeto sempre, ne potrei impazzire – che camminiamo sempre sull’orlo del caos. O almeno questa è l’eredità più pesante che grava sul nostro codice genetico: il rumore di fondo, persistente come quello cosmico, del fatto che un certo ordine esistenziale è una sottilissima membrana che ci separa dal disordine, dall’irrazionale, dal caos. La percezione della paura e del pericolo sono una delle righe di codice più importanti e sono indelebilmente scritte da qualche parte nella nostra mente.

Statisticamente le cose vanno come si pensa, ma la statistica separa il probabile dall’improbabile, non nega l’esistenza di quest’ultimo.

“Ogni cosa è al suo posto” è anche un frammento di “Rumore Bianco” di Don DeLillo. Potrebbe essere l’espressione della calma esistenziale e invece è collocata in un contesto in cui ogni cosa è al proprio posto ma nel posto sbagliato. Ogni cosa è al suo posto ma in modo inquietante.

L’ho sottolineata quando lo lessi ormai più di 20 anni fa ma potevo anche non farlo: mi è rimasta impressa e non se n’è più andata. Evidentemente mi diceva qualcosa di molto importante che è riaffiorata ora, parlando di paura. Che ogni cosa fosse al suo posto significava che ogni cosa faceva paura, non che tutto fosse in controllo. O che tutto fosse in controllo, ma non in quello del protagonista. Ogni cosa era al suo posto, cioè in quello definito dalla natura.

Anche il caos ha un ordine: il suo.

Per quanto sia sgradevole provare paura, ho imparato a prestarle ascolto. Schumacher diceva di averla sempre ogni volta che si sedeva sulla sua monoposto, consapevole che non avrebbe corso per decine di chilometri da solo ma sempre in compagnia dell’imprevisto e della morte. Non era una compagna gradevole ma non lo lasciava solo e a volte anche questa è una consolazione.

Anche questa è una frase che mi è rimasta impressa: uno degli uomini più temerari della storia diceva di avere paura. Era quantomeno strano detto da lui, era fuori posto. Da allora mi interrogo sul perché la avesse anche se lui ne aveva dato una spiegazione: era un modo per essere più concentrato. Se non avesse avuto paura avrebbe abbassato la guardia e sugli argini che contenevano il caos si sarebbe aperta una voragine.

La paura è la forma del controllo, e allora dovrei riformulare la risposta alla domanda sul volo: non ho paura di volare perché ho paura di volare. Sembra un controsenso o un gioco di parole ma esprime il ruolo della paura: separare l’ordine dal caos, difendere la realtà soggettiva dalle infinite e caotiche possibilità esterne alla volontà individuale.


Ogni tanto riguardo le foto che faccio. È innegabile che io cerchi l’ordine, a tal punto che in certi giorni ne sono persino infastidito. Quello è un tipo diverso di ordine: è la forma della visione che ho della realtà, è una sua immagine possibile. “Quindi vedo la realtà in questo modo”, mi dico: ne cerco ossessivamente l’ordine. La foto è precisamente l’immagine del mio ordine (o disordine) esistenziale: è visibile, è innegabile ed è il prodotto della mente che ha deciso che l’inquadratura dovesse essere fatta esattamente in quel modo. Questa è la verità della fotografia: non è assoluta ma è una verità individuale.

In un processo che controllo con una certa precisione come quello della composizione fotografica riesco a dare una forma all’ordine. Cosa mi infastidisce ogni tanto di quelle foto? Che non raccontino tutta la storia: quella dell’ordine compositivo è solo la mia storia ma non c’è il resto dentro quelle foto: dov’è il caos? Dov’è la sua storia?

Ho imparato a prestare attenzione alla paura, a considerarla un’amica. Quando parla l’ascolto. Mi dice che la membrana che mi separa dal caos è sottilissima in un preciso punto: è trasparente a tal punto da farmi vedere cosa c’è oltre, cioè un ordine ma di tipo diverso, caotico e ingovernabile.

La paura è presente, nel senso che si manifesta solo nell’attimo corrente. Spesso è confusa con l’ansia che ne è solo una proiezione futura. Invece no: la paura è qui e ora perché qui e ora avverte del pericolo.
La paura è la guardiana dell’attimo, si manifesta e brucia solo nel presente.

Non l’ho mai amata ma ho imparato a rispettarla: mi ha sempre fatto camminare sulla bocca del vulcano senza mai guardarci dentro, ha sempre protetto il mio ordine. Mi ha lasciato vedere il caos solo perché capissi quanto folle fosse pensare di poterlo governare.

Non ho paura di volare perché ho paura di volare. O perché la paura mi protegge.

Tags

Altri articoli

Interstellar non è 2001 Odissea nello Spazio

(ammesso che avesse mai ambito ad esserlo)

Un viaggio in Puglia

In immagini e parole​

Nodo

Nel senso di “nodale”, o di snodi della vita, che le cambiano direzione

IT