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Ho questo calendario che ogni giorno mi suggerisce un pensiero su cui riflettere, o mi fa una domanda. Non lo leggo mai. È ormai entrato di diritto nella mia personale galleria delle cose che mi ripropongo di fare per migliorarmi e che finiscono invariabilmente per popolare il mio museo personale dei sensi di colpa. Perché mi prendo impegni che non mantengo? Per un motivo semplice: perché non mi interessano. 
Non che non mi interessi migliorare, anzi: direi piuttosto che non è quello il modo in cui intendo farlo. 

Allora ho pensato a quanto la nostra cultura sia ossessionata dall’idea di migliorarsi: nell’animo (magari sapendo dov’è, per cominciare), nella produttività, nel lavoro, nei rapporti personali. 

Gli alieni che ci colonizzeranno o gli storici del futuro si chiederanno fino a che punto ci sentissimo imperfetti e mancanti per parlare solo di queste cose.

Poi ho ripensato a un film di quasi 20 anni fa. Si chiamava “Little Miss Sunshine”. Al tempo lo trovai caricaturale all’eccesso e molto compiaciuto nella descrizione dei suoi personaggi. Oggi, a distanza di tempo, ricordo soprattutto la figura del padre e lo trovo invece molto anticipatore. Direi sino al punto di esserlo stato con precisione millimetrica. 

Come spesso succede, la realtà supera l’immaginazione ma l’arte anticipa la realtà e oggi quel film è un documentario dei tempi correnti, per molti motivi: per come descrive il rapporto che i singoli o i gruppi familiari hanno con la popolarità e la ricerca di consenso e affermazione pubblica ma soprattutto per quel padre. 

Si trattava di uno scrittore di manuali di crescita personale con una vita privata disastrosa e scassatissima. Che è un po’ come mi immagino e forse perfidamente voglio sperare sia la vita di chi ti dice come vivere, non essendo riuscito ad applicare i suoi infallibili metodi nemmeno a se stesso.

Confesso quindi che per rendere più tollerabili e umani questi che hanno l’urgenza di dirti come vivere e come guadagnare un milione di euro al mese (ma te lo dicono solo nel loro corso scontatissimo per pochi giorni ancora, dove “ancora” è l’infinito) amo pensare che abbiano vite private miserabili e che più che dispensare consigli stiano disperatamente cercando attenzioni (e soldi). 

Il punto però è ancora un altro. Il punto è che la leva su cui agiscono questi corsi è quella dell’opprimente sensazione di irresolutezza, di mancanza di qualcosa. Il messaggio di fondo è che non si è mai abbastanza, che ci vuole sempre qualcosa in più, ancora un po’ di più per essere… per essere cosa o chi? La risposta più diffusa è se stessi (te stesso, cioè) ma la luna a cui punta il dito è “per essere ricco/famoso/influente come [inserire riccone/attore/attrice]. 

La frustrazione generata ad arte è paludata nell’anelito alla perfezione, o quantomeno al miglioramento costante. 

Siccome mi piace andare sempre altrove e non seguire mai – se posso – la folla, ho deciso che la strada che mi indicavano i sopraddetti pifferai era perfetta. Nel senso che avrei scelto quella ostinatamente contraria, riassumibile in:

Vai benissimo così. Vado benissimo così.

La loro esistenza mi è oltremodo utile, confesso anche questo. Sempre per contrasto, però. Quando scrivo qualcosa applico sempre la misura del quanto assomigli anche vagamente a ciò che potrebbero scrivere loro. Hemingway lo chiamava lo “shit detector” e per me loro sono il liquido di contrasto del mio shit detector. Se quello che scrivo potrebbe essere uscito dalla loro penna, butto tutto. Grazie ragazzi.

Prodotti fallati

Alla fine ho capito qual è l’assunto errato di questi metodi di crescita personale: è quello di basarsi sul fatto che siamo prodotti scadenti o perfettibili, per poi sfruttare l’insoddisfazione individuale a loro vantaggio.

A suo modo si tratta di un approccio geniale: nella complessità della vita è facile scambiare le proprie inadeguatezze per incapacità di risolvere una questione come la vita, che tra l’altro è fottutamente complessa. Il trucco sta insomma nell’omettere il fatto che lo sia oggettivamente e spostare il peso sull’individuo. 

Ti sembra di non farcela? Non lo stai facendo bene evidentemente. Ma con il mio corso di crescita personale eccezionalmente a 99 euro invece che 9.000 puoi vivere finalmente al massimo delle tue potenzialità!

C’è un altro interessante inganno nell’uso della parola “potenzialità”. È così bella e rotonda, giusto? Lo è, e soprattutto è tutta proiettata nel futuro. 

I risultati arriveranno, se. 

E se non arrivano è perché non hai applicato bene il metodo, sempre colpa tua è.

Non metto in discussione il fatto che questi crescitori personali siano benintenzionati. A dirla tutta non me ne frega niente, che facciano quel che gli pare. Né tantomeno mi interessa chi ci casca, fatti suoi. Magari per molti sono attività utili, magari riescono a dare una qualche direzione alla loro vita, glielo auguro.

Non è casuale che il fondamento di questi corsi sia che gli esseri umani sono prodotti fallati o perfettibili: la caratteristica principale dei prodotti, di qualsiasi tipo, è di essere normati, cioè standard. Il loro grado di perfezione è lo standard, la media che esclude i difetti più sostanziali e avvicina tutto a un buon, ragionevole rendimento.

E se

Concludo. Quando si va in direzione opposta si fanno interessanti incontri, si hanno illuminanti intuizioni. Se non siamo prodotti – e non lo siamo – significa che siamo individui semplicemente diversi, con pregi e difetti, con debolezze e forze. Niente di nuovo, se non nel fatto che queste vadano riconosciute e accettate. 

Lo scopo dei percorsi di crescita personale – di molti almeno – è quello di tentare di correggere le debolezze in nome di una normalizzazione dell’individuo, un po’ quello che fa la scuola (sono corsi, non a caso). La realizzazione del potenziale individuale è insomma tanto più precisa quanto si avvicina a un ideale umano (di prodotto). 

C’è una bella differenza fra l’accettare senza giudizio le proprie mancanze e il violentarle per essere ciò che non si è.
Non mi riferisco a certi piccoli o meno difetti comportamentali (la scortesia, il ritardo cronico, ecc.): sono comportamenti poco o per niente accettati a livello sociale ed è giusto così. Parlo di qualcosa di molto più difficile da fare: è un processo che si compone della conoscenza di se stessi e dell’assenza di giudizio nei propri confronti.

Mi ripeterò, ma è proprio la meditazione che mi ha fatto intuire quanto la sospensione del giudizio sia la base dell’accettazione di se stessi. E anche, soprattutto, della magnifica capacità produttiva di mondi della mente. Forse la vita può avere un senso constatando quante vite contenga la mente, quanti universi, quante alternative immaginate. Lo standard, il modello sono una possibile alternativa. La mente ne offre infiniti miliardi di altre.

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