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Liminale

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Liminale

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Su Twitter (esiste ancora, non so per quanto) seguo un account che pubblica solo foto di spazi liminali. Per fugare ogni ambiguità, si chiama Liminal Spaces. Gli spazi liminali sono luoghi fisici a servizio di altri: sono corridoi di uffici o di hotel, antibagni, spazi tecnici, cortili, sgabuzzini, parcheggi, stazioni di servizio. Hanno una funzione (di collegamento, il più delle volte) ma non hanno mai quella di essere abitati o occupati. Per “abitati” intendo che ci vivono delle persone, secondo il concetto heideggeriano del termine. In un corridoio non ci vivi, non ci stai, non ci soggiorni né dormi, né mangi, a parte forse in quelli degli aeroporti quando il tuo volo è stato cancellato. 

Sono spazi che si usano e per questo hanno un senso filosofico quasi romantico: seguendo un programma funzionale ridotto a un unico requisito (collegare, ospitare materiale tecnico ecc.), sono camere di compensazione di pensieri di rara potenza. Al contrario di una casa – abitata da persone e da memorie e storie – gli spazi liminali non hanno nessuna di queste caratteristiche e quindi offrono più spazio all’espansione del pensiero. In altri termini mi sto chiedendo perché ne sono così attratto. 

Quando arrivo in qualche aeroporto percorro lunghi corridoi e sale e spazi. Appartengono precisamente alla categoria liminale: nessuno vi sosta, quantomeno non a lungo. A volte – quasi sempre – affacciano con estese vetrate sulle piste, offrendo una vista di cui nessuno gode perché per loro ci si passa, non ci si sofferma mai.

Poi ho capito che questi luoghi sono la metafora di un’emozione precisa: la noia. Quello stato che è normalmente percepito come negativo poiché non produttivo – quantomeno in termini contemporanei ed economici – è in realtà una condizione di privazione di stimoli che conduce paradossalmente a un’iperstimolazione. Ne so qualcosa – reggetemi la birra – per due motivi: perché faccio parte dell’ultima o penultima generazione che ha conosciuto la noia sistemica e pervasiva delle giornate estive fra la fine di un anno scolastico e l’inizio del successivo quando non esistevano i cellulari e perché sono nato e vivo in quel genere di provincia assunta a paradigma della privazione di stimoli. Eppure il vuoto, il silenzio, lo spazio fisico indifferente (tre manifestazioni dello stesso stato mentale che viene percepito come noia) riescono a contenere tutti gli stimoli, non contenendone alcuno in particolare. In altre parole, signore e signori, questi luoghi fisici e metafisici allo stesso tempo, producono un unico, potentissimo stimolo per il cervello: privato di qualsiasi distrazione, questo inizia a produrre pensiero e idee e stimoli a sua volta. 

Quando la mente è immersa nel vuoto ha una sola missione: riempirlo il prima possibile. 

Credo anche di essere attratto da questi luoghi perché ne sento la voce: è molto silenziosa (è un suono nel vuoto, del resto) ma invita a fermarsi e lasciare che la mente faccia una cosa che ama fare, ossia produrre pensiero per il fatto di produrlo in sé, non perché sia utile per un fine preciso (sociale, economico, funzionale).

Questo è l’utilizzo più puro che si può fare del vuoto e del silenzio: quello di lasciar loro stimolare la mente a creare pensiero senza uno scopo ben preciso. Non ci sono un fine o un’applicazione, non c’è insomma una direzione. La mente ha il potere di andare ovunque, specie quando non lo fa per raggiungere una destinazione ma solo per riempire di immagini, concetti e parole un vuoto.

Lo spazio liminale è in un certo senso la casa del flusso di coscienza: lo accoglie e gli fornisce l’ambiente ideale per espandersi.

Si è capito che considero positivamente questi spazi: hanno un potere unico e un carattere che è dato dalla loro mancanza di qualsiasi carattere. Sono indifferenti al luogo in cui si trovano (i corridoi sono uguali ovunque) e per questo sono definiti da pochissimi parametri: le dimensioni fisiche, la funzione che hanno, basta. 

Come si è visto, hanno due peculiarità: sono privi di memoria e sentimento – il sentimento è una manifestazione, un linguaggio della memoria – e hanno una sola funzione, per altro secondaria. Sono perfetti perché, fondamentalmente, non impongono alcuna limite al loro utilizzo. Non sono case con regole, non sono uffici con gerarchie, non sono stazioni ferroviarie. Sono semmai articolazioni di questi: necessarie ma esaurite in quella loro unica funzione. 

Il non avere memoria, il non suscitarne alcuna (un corridoio dei gate dell’aeroporto di Caracas può ricordarmi quello di Varsavia ma sempre luoghi affini ricorda, non altri più carichi di sentimento) li rende i luoghi in cui tutto può accadere, intendendendo per “tutto” le possibili combinazioni mentali che il vuoto può ospitare. 

Gli spazi liminali sono luoghi di puro pensiero, o dove questo può prodursi, svilupparsi e raggiungere forme evolute e bellissime.

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