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Il linguaggio

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Il linguaggio

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Se scrivo queste parole è perché esiste il linguaggio e organizzare parole e scriverle o dirle è il modo per attivare il linguaggio. Così gli si fanno dire cose, così si comunica.

Le grandi invenzioni dell’umanità sono il fuoco (che poi è una scoperta), la ruota e tutto ciò che ne è seguito: materiali, oggetti fatti con quei materiali e trasportati con contenitori che si spostavano su ruote. La trasformazione delle materie prime, il commercio e i trasporti (industria e mobilità, insomma) sono connessi ma nessune di queste attività sarebbe possibile senza il linguaggio che ha permesso di mettere in contatto le persone e di trasmettere le conoscenze.Il linguaggio ha mille declinazioni: è la musica (il più universale, assieme alla cucina), sono le lingue, sono le immagini (la pittura, la fotografia, il cinema).

Ogni giorno usiamo, anche involontariamente, diversi linguaggi. A volte li subiamo e basta. Ci pensavo ascoltando un podcast in cui parlavano esperti di città: urbanisti, economisti, isti vari. Ogni istismo ha il suo linguaggio e molti di questi linguaggi contengono un’inevitabile componente tecnica che serve a condensare in termini singoli concetti complessi, comprensibili solo a chi conosce già quel linguaggio. Sono i gerghi e ogni gergo ha almeno due funzioni: una attiva – sintetizzare – e una passiva, e cioè escludere. È passiva nel senso che è il risultato della natura del gergo stesso, non c’è volontà: chi non lo conosce (chi non lo parla) non lo può capire.

Eppure vi sono gerghi che escludono, volutamente. Gerghi che definiscono categorie professionali o umane, tipo per esempio questi urbanisti: esperti di certo di qualcosa ma produttori di un linguaggio che dice cose che possono anche essere dette altrimenti, e che soprattutto è mortalmente noioso. Si può escludere essendo oscuri o anche essendo noiosi. Io – che quel loro linguaggio lo capisco perfettamente – mi sono sentito annoiato.

L’utilizzo di un linguaggio esclusivo ha anche un altro scopo: quello di certificare la necessità dell’esistenza di chi lo parla. Più il linguaggio è incomprensibile, più è giustificata l’esistenza di chi lo conosce, a tal punto che esso esiste non per far parlare fra di loro chi lo conosce ma per dare loro potere. Il senso della loro esistenza è il fatto che parlino quel linguaggio, e quel linguaggio non esiste perché loro possano comprendersi ma che possano esistere. Con la radicalizzazione e specializzazione delle professioni questa tendenza si polarizza sempre di più, tanto da tendere verso una dimensione sacerdotale.Abbiamo inventato il linguaggio per unirci e l’abbiamo specializzato a tal punto da dividerci.

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