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Racconta uno in un podcast che ora non ricordo – uno americano – che uno che conosce gli ha raccontato una storia. Un giorno aveva assistito a una sessione creativa di Kanye West (immagino pre-delirio) e funzionava così: lui e altri erano in sala di registrazione e cantavano, o facevano rime, rappavano, inanellavano lines, non so come si dice. Puro flusso di coscienza: quello che veniva, veniva. Uno a un certo punto dice “Aspetta aspetta che registro” e Kanye West dice “Assolutamente no. Non si registra niente. Quando abbiamo finito vediamo cosa ci ricordiamo, quella è la roba migliore”.

Mi ha ricordato un sistema di scrittura un po’ brutale ma molto efficace, specie per riassumere o ridurre all’essenziale un testo: consiste nello scriverlo, cancellarlo e riscriverlo a memoria. Quello che sopravvive è solo ciò che merita di sopravvivere, cioè solo la parte davvero buona. Che è anche, contemporaneamente, un riassunto di quanto scritto nella prima stesura, perché ricordarsi tutto è impossibile e non è nemmeno lo scopo dell’esercizio.

La memoria è una straordinaria selezionatrice perché trattiene solo ciò che è veramente importante, almeno per il proprietario di quella stessa memoria.

Ogni settimana penso al tema da trattare per il nuovo numero de Il Pensiero Lungo. L’esercizio che faccio consiste nel ripensare il giorno stesso in cui lo scrivo agli argomenti a cui ho pensato durante la settimana. Non devo ricordarli tutti: devo solo capire quali mi vengono in mente improvvisamente. Per lo stesso criterio selettivo di West, quelli che raggiungono la superficie sono quelli di cui voglio parlare, o quelli “che voglio essere esplorati”. Giacché penso che, a modo loro, mi chiamino o almeno indichino se stessi come interessanti, almeno per me.

I frammenti che affiorano fanno parte della memoria, anche se di una sua porzione a breve termine: una settimana circa.

Mesi fa li annotavo e poi ne sceglievo uno; ora lascio che decidano loro. L’unico criterio è che se ci penso ancora il sabato o la domenica (quando scrivo, generalmente in una o due sessioni al più, di getto, editando e correggendo solo alla fine) allora c’è qualcosa da indagare. Come ho già scritto altre volte, lascio che sia la scrittura a scoprire cosa: quando inizio a scrivere non ho una traccia da seguire, quella si rivela man mano che scrivo. Questo esercizio settimanale mi serve a scoprire più che a comunicare. Poi, se dice qualcosa anche ad altri, ne sono felice.

Sono così affascinato dalla forza dei concetti e delle idee che gli riconosco una volontà e un’identità. Mi capita con una ricerca che sto facendo: c’è un concetto che credo sia una chiave di volta: allora lo osservo da distante e lo mantengo all’interno del campo visivo mentale. Non lo avvicino subito (per avvicinarlo non potrei fare altro che scriverne, dato che ragiono scrivendo, non scrivo ragionando), scruto se resta in vista. Se c’è anche dopo qualche settimana ha forza, ha un significato che devo scoprire.

Questa procedura può sembrare, me ne rendo conto, un po’ incomprensibile ma non è molto diversa dalle formazioni rocciose mentali che osserviamo con i nostri occhi interiori per mesi o anni: i problemi, i complessi, le ansie, le speranze. Di alcuni non sappiamo spiegarci l’esistenza, li vediamo come ombre che nascondono i tratti delle persone a cui appartengono. Eppure ci sono e non resta che avvicinarle e chiedergli cosa vogliono, gentilmente. Perché sento l’ansia? Perché ho un pensiero ossessivo? Quelle cose lì.

Possono anche essere pensieri positivi e allora li voglio solo contemplare, senza sapere perché esistono e perché ci penso.

Intendo che, quanto più scrivo, tanto meno penso che il mio potere (del tutto relativo e ininfluente) sia di descrivere queste idee ma piuttosto sia quello di avvicinarle e di chiedere loro chi sono, cosa fanno e cosa vogliono.

La scrittura è lo strumento per dare loro voce.

Il mio ruolo è quello di dar loro voce. So che si formano nella mia mente, ma non credo vengano prodotte proprio lì dentro: credo che le idee nascano e si sviluppino in una realtà autonoma e noi possiamo solo riconoscerle e stare ad ascoltarle. Qualche filosofo – forse diversi – hanno detto qualcosa del genere, anche se non ricordo chi.

Sarebbe molto presuntuoso pensare di essere davvero in grado di dare vita a un’idea ma non credo sia così: loro esistono a prescindere da noi, e noi possiamo solo riconoscerle.

Allo stesso tempo gli serviamo: senza di noi continuerebbero a esistere ma il loro piano esistenziale non potrebbe mai intersecarsi con la realtà: hanno bisogno di noi per assumere una forma. Hanno bisogno del nostro orecchio e della nostra scrittura.

Quando scrivo il Pensiero Lungo – me ne accorgo sempre di più – non scrivo di un’idea che ho avuto ma trascrivo quello che lei mi dice. Altrimenti saprei già alla prima parola cosa devo scrivere, cosa voglio scrivere. Invece non so niente e le prime righe sono solo i primi passi per portarmi più vicino a lei o a loro.

Questa settimana non parlo di un’idea ben definita ma piuttosto di una meta-idea: dell’idea dell’idea, o del rapporto che ho con le idee.

Se loro esistono a prescindere da noi, le notiamo solo perché illuminano qualcosa in noi: reagiscono, come una sostanza reagisce a un’altra sostanza. Ci sono idee a cui mi avvicino senza che avvenga alcuna reazione e altre che attivano un flusso di pensieri, così come ci sono libri (che contengono idee) che non mi interessano perché non mi dicono niente (e ad altri possono dire molto o tutto) e allora non li leggo.

Soffro anche di una certa bulimia da scrittura e da ascolto: penso che dovrei leggere e annotare qualsiasi cosa, perché tutto ciò che esiste è importante e invece bisognerebbe prestare caso solo a ciò che affiora, solo a ciò che si nota: quella è l’unica cosa davvero importante, per noi.

Le cose e le idee esistono a prescindere da noi e, se non le notiamo, non facciamo loro un torto. Non credo abbiano sentimenti, non si offendono: esistono e basta.

Saper vedere solo ciò che affiora aiuta a selezionare, a concentrare l’attenzione: più si ascolta un’idea, più le si porta rispetto e allo stesso tempo non si fa torto alle altre idee. Non sono interessanti, per noi.

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