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Note su Arancia Meccanica

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Note su Arancia Meccanica

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Non saprei dire con esattezza se certi film ti restano in mente perché li vedi da adolescente e sei più impressionabile o perché hanno una qualità intrinseca che li rende pietre miliari. Di certo Arancia Meccanica è un film che considero centrale e immancabile, uno di quelli che non puoi non vedere e che non può lasciarti indifferente.

Non lo rivedo da anni e ne conservo ancora la fortissima impressione che mi fece al tempo, ormai qualche decina di anni fa.
Curiosamente la violenza brutale che lo percorre non è l’aspetto che ricordo meglio. Non è quello il sapore che mi ha lasciato in bocca e ci sono diversi motivi — ho capito poi — perché non è accaduto.

Arancia Meccanica non è un film sulla violenza o almeno non solo su quella. C’è la violenza fisica e insensata praticata da Alex e dai suoi drughi ma c’è anche quella praticata della società su Alex durante la sua rieducazione, per farlo diventare finalmente un membro attivo e neutrale del meccanismo sociale.

Qual è la violenza più brutale? Quella del singolo su altri singoli o quella dell’intera società sui suoi membri? Non c’è una risposta e di certo Kubrick non la fornisce. Il suo scopo è insinuare il dubbio, non dare risposte. Del resto Arancia Meccanica è un film che usa lo spettatore per metterlo a disagio. Non condanna e non assolve o forse supera questa fase elaborativa. Forse impressiona così tanto e ha una latenza così prolungata (decenni e decenni) perché un protagonista è proprio lo spettatore. Kubrick aveva uno scopo nemmeno troppo velato ed era mettere a disagio chi assiste alla narrazione.

Sin dal primo fotogramma — quello di Alex che guarda in camera. Kubrick stabilisce subito una connessione fra il protagonista e lo spettatore. Le scene di violenza che seguono lasciano sempre un dubbio irrisolto nello spettatore: trovare una giustificazione alla violenza di Alex o condannarlo? Prenderne le distanze o capirlo, entro certi limiti? In fondo la connessione umana con Alex è già stata stabilita da Kubrick e lui stesso ci ha tratti in inganno mettendoci inconsapevolmente dalla sua parte: è il primo ad averci guardati e rivolto la parola e la narrazione è solo la sua, in prima persona. Si tratta di un sogno o delle realtà? Con chi dobbiamo empatizzare: con le vittime o con Alex? Chi è la vera vittima?

Nota #1 — Il titolo

“Arancia Meccanica” è una metafora e sta a significare “ciò che nasce come naturale e che viene trasformato in un meccanismo per funzionare in un sistema più grande, che è la società”. Ancora una volta c’è una violenza, ma di tipo più subdolo: è accettabile nel sentire comune perché un volere condiviso ha deciso così. Ma resta una violenza, cioè quella che costringe un singolo ad appartenere a una collettività, a prescindere dal suo volere.

Secondo altri, in maniera lievemente diversa, significa “Ciò che è naturale esteriormente, ma strano e bizzarro all’interno”.

Nota #2 — Alex

Nel libro Alex ha 15 anni. Malcolm McDowell, come è facile intuire, ne ha un po’ di più.
Quando il film non doveva ancora essere diretto da Kubrick, per il ruolo del protagonista era stato indicato Mick Jagger, e altri membri degli Stones come i suoi drughi.
Il cognome di Alex è Burgess: si tratta di un omaggio simbolico di Anthony Burgess, l’autore del libro da cui è tratto il film.

Nota #3 — La casa dello scrittore

Una delle scene di violenza più efferate è quella ai danni dello scrittore e di sua moglie, oggetto di violenza carnale. Per girare la scena venne scelta Jaffe House, disegnata dal collettivo Team 4 di cui faceva parte Sir Norman Foster.

Secondo alcuni la scelta, anche in questo caso, non è casuale e non si limita alla qualità del design della casa. Serve infatti a creare un ulteriore distacco fra l’osservatore e i residenti di quella casa: difficilmente può instaurarsi infatti un meccanismo di identificazione in una casa così particolare e ricercata perché statisticamente pochissime persone vivono in case del genere.

Per girare la scena ci vollero 4 giorni (i tempi di Kubrick del resto sono mitologicamente lunghissimi). Nei primi giorni il regista non riusciva a ottenere il risultato che (non) aveva in mente finché non gli venne in mente di chiedere a Malcolm McDowell se sapeva ballare. “Certo, senza problema” rispose quello. E ne venne fuori la scena atroce ma fumettistica che chiunque ricorda: quella di una violenza carnale compiuta canticchiando “Singing in the rain” di Gene Kelly. Una sottonota curiosa riguarda proprio questa canzone che Kubrick decise di far cantare a McDowell invece che riprodurla in originale perché non voleva chiederne i diritti. Sarebbe stata imperdibile del resto la scena di Kubrick che va da Kelly a chiederglieli: “E come la vuoi usare?” “Oh per una scena di violenza carnale” “Ma perfetto! Certo che te li concedo!”.

Nota #4 — Kubrick e gli attori

L’assistente dello scrittore dopo che questo rimane vedovo e invalido è interpretato da David Prowse, cioè Darth Vader, o meglio quello che riempiva la tuta di Darth Vader, visto che in faccia non lo si vede mai.

Prowse ricorda che Kubrick lo obbligò a girare svariate volte una scena molto impegnativa dal punto di vista fisico: doveva infatti sollevare di peso lo scrittore e la sua sedia a rotelle e sistemarlo al tavolo da pranzo dopo aver fatto due rampe di scale. Kubrick gli impose di girare la scena senza tagli, dall’inizio alla fine delle scale e fino al tavolo. Dopo sei ripetizioni Prowse era senza forze e ansimante e non osava confessare al regista che era sul punto di collassare, anche se il suo respiro affannoso lo tradì, facendo credere a Kubrick che ci fosse qualche problema all’audio (no, stava solo morendo l’attore). Chi era sul set racconta che Prowse, una volta informato su quello che gli richiedeva Kubrick per quella scena, lo affrontò dicendogli “Mi pare che non la chiamino ‘Kubrick, buona la prima’, vero?”. Tutti temevano che il regista l’avrebbe cacciato e invece si mise a ridere.

Una delle scene più memorabili è quella della rieducazione: Alex viene costretto a vedere filmati senza poter chiudere gli occhi, tenuti aperti da delle pinze che appaiono (ed erano anche in realtà) particolarmente dolorose. Durante le riprese McDowell fu assistito da un vero oculista (quello che gli somministrava il collirio) e riportò danni alla cornea.

Nota #5 — La macchina di Alex

Si tratta di una M-505 Adams Brothers Probe 16, anche se ne film è chiamata “Durango 95”. Si tratta di un’auto prodotta in pochissimi esemplari come prototipo, alta solo 86 cm.

Nota #6 — La musica

Se si togliesse la musica ad Arancia Meccanica cambierebbe semplicemente tutto. La violenza delle scene sarebbe violenza cieca e pura e sfuggirebbe il messaggio di Kubrick che invece usa il commento musicale — ottimo, per giunta, visto che impiega musiche di Beethoven e Rossini, fra gli altri — per creare un filtro fra le immagini e il loro significato. Ancora una volta egli opera una dislocazione nell’osservatore, inducendolo al dubbio: è vera violenza quella che sta vedendo? Eppure la musica non sembrerebbe suggerirlo. Si tratta forse di un sogno?

Un’ultima nota riguarda infine proprio la musica di questo film: quante persone sono state introdotte a questi due compositori anche per semplice imitazione? Alex, il drugo per eccellenza, ascoltava musica classica, non cose alla moda. Kubrick la usò perché funzionava ed era perfetta nella narrazione e inoltre fece anche un gran servigio alla diffusione della musica classica.

Non so se fu il primo a usare in un film musiche che non c’entravano apparentemente niente con la narrazione ma di certo qui lo fece magistralmente. Il Guglielmo Tell o la Nona di Beethoven hanno lo scopo di aggiungere un livello di significato ulteriore alle immagini. Non possono essere ignorate dallo spettatore e non sono mai impiegate “a commento” delle scene ma sempre per aggiungere un diverso livello semantico.


Fra due anni “Arancia Meccanica” compirà 50 anni. Il suo messaggio — così poliedrico e sfuggente — è ancora molto attuale, specie in una società che si è strutturata in maniera così violenta come quella attuale.

Alex appare invece quasi naive oggi. La sua violenza isolata e personale, quasi intima, è diventata ormai sistemica. Nelle sue espressioni più plateali — di dimensione ormai sociale ed endemica — l’odio e la violenza sono istituzionalizzate. Politici e intere fasce della società sono a proprio agio a manifestare un’efferatezza nei confronti di simili o diversi che una volta erano almeno contenute dalla vergogna e dal decoro.

Con una punta di nostalgia, magari venendo fraintesi, si può pensare ad Alex come a una figura quasi romantica in confronto all’accettazione odierna della violenza: almeno lui ascoltava Beethoven e aveva una personale estetica. Nella sua manifestazione brutale e criminale aveva una moralità ed esprimeva una desiderio di affermazione del proprio libero arbitrio. Oggi quello stesso libero arbitrio ha conservato ed esaltato solo la componente più primitiva dell’anima di Alex: quella brutale e priva di qualsiasi cultura.

Almeno Alex ci ha lasciato la curiosità di ascoltare quello che ascoltava lui: il suo adorato “Ludovico Van” o Rossini. Se si toglie alla sua vita questa componente estetica e culturale e si lascia solo quella violenta resta quello che oggi vediamo ovunque: Alex esiste ancora e si è moltiplicato.


(parte del materiale qui esposto è tratto dal bellissimo podcast Unspooled, dedicato a “A Clockwork Orange)

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