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Max Pezzali

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Max Pezzali

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Max Pezzali

E se Max fosse il vero e unico poeta di un’intera generazione?

Qui tutto passa in fretta
le cose non dette vanno via e si perdono
c’è solo la diretta
le repliche non le mandano.

 

 

Non vorrei esagerare, ma esagererò: non c’è cantautore che abbia più precisamente ritratto una generazione quanto Max Pezzali.
E che continua a farlo. Lui canta imperturbabile l’adolescenza della provincia pavese, l’abbaglio delle luci milanesi, gli amori giovanili e quell’essere modesti, senza pretese, nostalgici e di animo buono.

 

E Milano era più vicina, perché adesso c’era posto anche per noi
anche se a guardarci si capiva, che proprio non c’entravamo.

 

È incredibile che un ragazzo (anche adesso, comunque un ragazzo) che ha sempre avuto l’atteggiamento esattamente opposto all’aggressività del rampante arrivista sia riuscito ad ottenere il successo che ha ottenuto. E che continua ad avere. C’è una speciale e irripetibile alchimia in Max che si rinnova in ogni suo disco: per le parole che scrive e per come le scrive e soprattutto per l’atteggiamento che ha.

Non credo che quelle parole cantate da un altro otterrebbero lo stesso effetto. Le sue canzoni funzionano perché le canta lui.

 

Per chiarirlo meglio racconterò una storia.

 

Anni fa avevo una specie di blog fotografico. Non esiste neanche più e non esistevano al tempo nemmeno i blog. Pubblicavo foto mie e anche di altri e spiegavo in poche righe cosa mi dicevano quelle foto. Scoprii che a seguirlo c’era pure Max. Come lo scoprii? Mi scrisse lui e parlammo per qualche mail di foto. Mi raccontava che macchina aveva, che obiettivi, diceva di non essere poi tanto bravo ma che gli piaceva molto fotografare. Ricordo che in una delle ultime mail mi disse “Mi piacerebbe prendermi la Canon 5D, vediamo se riesco a fare una spesa del genere”. Ora, dubito che lui, che aveva già venduto centinaia di migliaia di dischi, non potesse permettersi la macchina che voleva ma quello che voglio dire è che detto da lui ci stava. Ho pensato che sì, Max poteva anche farsi certi scrupoli a fare determinate spese, perché lui era e restava un ragazzo semplice di provincia.

 

Non ho mai amato molto le sue canzoni musicalmente parlando, eppure nella struttura musicale erano e sono semplici e lineari come lui. Le loro parole invece sono spesso una specie di poesia popolare e generazionale, più intima ed efficace di molte altre scritte da altri cantautori considerati più degni di lui.

 

 

Generazioni
di anime in pena
che sperano di aver diritto all’affitto
di un pezzo di luna.

 

Quel giorno mi scrisse lui una mail (me la scrisse forse perché avevo pubblicato anche una sua foto? Ora non ricordo). Oggi continuo a ricambiarlo ascoltando le sue canzoni più per le loro parole che per le musiche. Sento che stanno parlando ad una parte di me che non ascolto mai: quella nostalgica, quella che è stata giovane e se l’è dimenticato, quella che ha fatto le cose che ha fatto Max, che ha frequentato gli stessi bar. E Max me lo ricorda.

 

 

Quanto è paranoica questa città
della sua gente delle sue manie
due discoteche centosei farmacie
e ci troviamo ancora al punto che
si gira in macchina il mattino alle tre
alla ricerca di qualcosa che poi
cos’è non lo sappiamo nemmeno noi.

 

 

Giudizio finale: io a Max gli voglio bene

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