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Mappa

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Disegnando e dipingendo (seppur digitalmente, ma poco importa), ho capito che stavo disegnando mappe mentali: della mia mente. Si dice che l’arte – ammesso che la mia sia arte – esprime emozioni e mondi interiori. Nel mio caso vedo ciò che faccio come una traduzione visiva della mia mente, anzi: come una mappa mentale. 

Me ne accorgo quando rivedo nei miei disegni echi di cose già viste (le mappe della memoria) e restituisco in forma visuale gli stati d’animo del presente. Se sono soverchiato dalle stimolazioni cerco forme semplici e risolutive, se disegno ossessivamente e ritorno sul cammino tracciato dalla matita più volte – forse – è perché sono più sereno, tanto da potermi concedere l’agio di trasferire il caos interiore sulla carta (anche se digitale, ancora una volta). Altre volte il tratto involuto e ottenuto per addizione è una radiografia della mia mente. 

Si tratta di mappe: non di territori ma di connessioni cerebrali. E come tutte le mappe, hanno un bordo oltre il quale la realtà smette di esistere perché non è più rappresentabile, perché è finito lo spazio.

Credo che le mappe abbiano a che fare con il tempo e la memoria (due altri mie pensieri lunghissimi): disegniamo le mappe per conoscere, rappresentare ma soprattutto per ricordare, cioè per trovare una strada sconosciuta o per ritrovare quella che si è persa. 

È curioso che le mappe abbiano una funzione duplice in termini temporali: fanno vedere ciò che non si conosce ancora (il futuro) ma ricordano ciò che si conosce già ma sotto una luce diversa (il passato). Per questo sono rappresentazioni: non sono la cosa ma la rappresentano, ne sono insomma un’immagine, un simulacro.

Fra tutte le mappe, quelle che mi interessano di più sono quelle mentali e fra queste soprattutto quelle della mia mente. È straordinario infatti come, pur appartenendomi ed essendo installate dentro di me, in definitiva non riesca mai a vederle. 

Una volta lessi su Wired – quando ancora era una rivista rivoluzionaria e visionaria, molto spesso troppo entusiastica ma per questo ancora più interessante – che l’inventore del linguaggio di programmazione Java stava lavorando a un nuovo sistema operativo. Non so cosa ne è stato poi: parlando di una cosa di 20 anni e più fa di cui non ho più avuto notizia immagino che nel frattempo sia stato abbandonato. Di quel sistema operativo ricordo che era rivoluzionario nel senso che era normalissimo: era basato sulla memoria e forse su qualche artificio visivo tridimensionale, ma non è questo che conta. 

L’assunto di base era che per operare con una macchina su dei documenti, dobbiamo averli a disposizione dove ci aspettiamo di trovarli. Il sistema operativo deve essere insomma come una memoria umana, e far emergere (metterci sotto gli occhi) cose che ci sono più prossime in termini temporali e spingere verso il fondo cose che non ci servono ora e qui.

Semplice, no? Eppure nessuno c’aveva mai pensato.

Quel sistema operativo era una mappa, che non a caso si basava sulla memoria, anche se le mappe, dicevamo, hanno una memoria orizzontale, nel senso che tutto ricordano, indistintamente. Le mappe mentali invece hanno una gerarchia, dei centri e delle periferie. Il centro principale è quello della mente e da questo irradiano tutte le strade che collegano i centri minori, via via verso i confini dell’impero (mentale). L’intensità del ricordo è misurata in relazione alla sua prossimità al centro: si ricorda meno quanto più il ricordo vi si allontana.

Ecco che nella dimensione mentale del ricordo entra quella del tempo: man mano che questo aumenta, aumenta anche la distanza dei ricordi dal centro, e questi vengono spinti in regioni inesplorate: esistono ma non ci si va spesso. Sono le stanze del passato, alcune segrete, alcune che si preferisce dimenticare, altre che sono neglette e basta, perché contengono oggetti del ricordo che non hanno più significato.

Distanza e tempo quindi sono due funzioni dell’equazione della memoria e insieme descrivono in termini pseudomatematici la mappa mentale. Del resto è una mappa: ha centri, strade, rilievi montuosi, fiumi e mari. Contiene metafore, o la sua rappresentazione, è meglio dire, è una metafora.

La mente è un territorio.

C’è evidentemente un processo razionale che governa come vengono archiviati i ricordi: il più semplice è quello utilitaristico, cioè si ricorda solo ciò che è utile ricordare. 

Eppure questa mappa è disegnata da qualche parte e a volte ripropone ricordi senza motivo: affiorano come città che si pensava sepolte dalla sabbia del deserto e la strada che le collega al centro non è più visibile. Perché ripensiamo a un ricordo di decenni prima? C’è sempre un motivo ma lo si razionalizza solo a posteriori, quando si capisce perché è affiorato proprio quel ricordo. E non è detto nemmeno che lo si capisca.

La mappa, infine, serve a trovare la strada. Per questo l’idea di averla nel cervello ma di non poterla vedere e consultare è frustrante. Si può in realtà vederla ma solo in piccole porzioni, quelle più vicine al centro e quindi al presente. Non si vede insomma dove conducono le strade e se conducono da qualche parte.

Come ogni mappa collega, cioè mette in relazione le cose. Esiste un registro dentro la mente che ricorda tutti i collegamenti fra le cose e sa – o almeno ne riporta gli estremi – perché l’oggetto mentale A è collegato al B e questi all’F.

C’è infine un ultimo aspetto: ogni oggetto mentale ha delle proprietà. Ha un colore, una collocazione temporale, un contesto, una dimensione. Diverse caratteristiche che lo definiscono, insomma. Queste caratteristiche legano ogni oggetto mentale a un altro o a gruppi di questi: ecco perché di un pranzo con i nonni non ricordiamo solo le immagini ma anche gli odori, i suoni e le sensazioni, e queste caratteristiche sono poi messe in relazione con altri oggetti, che non hanno un legame immediato con quelle memorie: il profumo di un brodo consumato oggi ci ricorda quello della nonna, per esempio. 

Questi collegamenti si accendono solo quando vengono attivati, spesso involontariamente. Sono dentro di noi ma sono oscuri. Forse la loro gestione contemporanea sarebbe impensabile e troppo gravosa e il cervello è un organo molto parco nell’uso delle energie: usa solo quelle che servono nell’immediato e per la sopravvivenza.

Come sempre, non ho una risposta. So perché un profumo evoca una memoria e una canzone ne evoca un’altra e trovo sempre meraviglioso e affascinante questo fenomeno. So anche che a volte non c’è un motivo particolare per cui alcuni ricordi affiorano improvvisamente. Succede, magari in un momento in cui sto facendo dell’altro o non faccio niente. Magari mentre disegno. 

Mi è capitato di avere delle rivelazioni: giorni o mesi dopo aver fatto un disegno (una mappa mentale, dicevo all’inizio) mentre camminavo o sfogliavo un libro me lo ritrovavo di fronte, in una strada o in una foto. Non che mi apparisse il mio disegno: quello che vedevo era l’origine del disegno stesso, che evidentemente avevo registrato mesi o anni prima e poi dimenticato. 

Il disegno (e anche la scrittura) rivelano dettagli della mappa mentale, sono strumenti per illuminarla. Per questo continuo a disegnare, per lo più cose astratte e confuse, e continuo a scrivere. Mi sto cercando, sto cercando la mia mappa.

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