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Drago

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Drago

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Una cosa che mi fa sempre stare bene è fotografare. Credo che accada non solo per l’atto in sé ma perché è una cosa che faccio in un dato momento, senza farne altre. La gran parte di ciò che faccio — che facciamo — nel resto del tempo è un insieme di cose fatte in contemporanea, sovrapposte, caotiche. Scrivo mail mentre cammino, prendo note mentre ascolto un podcast, segno cose da fare mentre lavoro, mi viene un’idea mentre corro.

Quando fotografo faccio solo una cosa e ne sono felice.

Mi capita anche disegnando ma la fotografia ha meno filtri: non devo avere della carta, non devo prendere in mano una penna. Pur essendo un fatto tecnico (fotografare) ha sorprendentemente meno filtri di molte altre attività che faccio: fotografo con l’iPhone che ho in tasca ma più spesso con la macchina fotografica che ho sempre con me, in un’altra tasca.

Non voglio però parlare di fotografia o di macchine fotografiche quanto, piuttosto, di un atteggiamento. Io lo chiamo “del fare cose semplici”. Le cose semplici sono spesso trascurate perché si pensa che abbiano un valore inferiore a quelle complesse ma l’inganno è che quelle complesse sono solo caotiche, cioè non hanno il grado di complessità di un linguaggio matematico. Non sono organizzate, sono cose affastellate l’una sull’altra, confusamente.


Sto leggendo “25 modi di piantare un chiodo” di Enzo Mari. Ritrovo nelle sue parole la ricerca quasi ossessiva della semplicità. Penso che non si tratti solo di un tentativo di trovare una verità opposta a quella della complessità della realtà quanto di una ricerca delle origini delle cose.

La semplicità rappresenta la natura delle cose, il loro punto di inizio.

Per questo trovare la semplicità, praticarla e realizzarla significa ritornare alle origini, cioè scoprire il valore delle cose (e, contemporaneamente, separare quelle che non ne hanno da quelle che ne hanno).

Forse è quella che Calvino chiamava “leggerezza”, forse è la luce della verità che una cosa emana. Non è una verità morale, non ha un significato religioso: è il grado zero di ogni cosa, è la proprietà che la definisce e che la colloca nell’insieme più ampio delle cose.

Come si trova la verità delle cose? Non è affatto semplice — per usare un gioco di parole — trovare la semplicità, cioè la sua verità. Bisogna prima eliminare il rumore di fondo, come un ingegnere del suono eliminerebbe ogni fruscio e ogni imperfezione di una registrazione.

La verità delle cose, la loro semplicità, è anche la loro purezza.

La semplicità ha una lucentezza abbagliante: è il grado zero di una cosa, è il velo che la separa dal niente. Toglierlo significa fare diventare niente quella cosa, cioè annullarla.

Credo di aver individuato il modo per avviarsi verso la semplicità ed è fare una cosa — solo quella cosa — quando si fa qualcosa.

Banale? Scontato? Non poi tanto, o affatto. Ogni giorno non facciamo cose: facciamo cose contemporaneamente. Per mancanza di tempo, per superbia, per sciatteria. Quali sono le cose che facciamo facendo solo quello e non altro, contemporaneamente? Pochissime. Un chirurgo quando opera, opera e basta e fa una sola cosa. Un pittore quando dipinge dipinge e basta. Quando fotografo fotografo e basta (oltre a osservare, che è essenziale prima, per fotografare poi).

Quando medito faccio quello e basta. Meditare è considerato come un’attività molto cerebrale ed in effetti lo è, per molti versi: tutto avviene nella mente, nella nostra testa. Ma non potrebbe avvenire se fosse disgiunto dal tempo.

Meditando penso o visualizzo o sogno solo nel presente. Di fatto, dormendo medito, come chiunque altro. Solo che meditando sono presente, sognando sono un osservatore passivo. Inoltre meditando ricordo (dopo), sognando non ricordo, o non sempre.

I cinesi assegnano a ogni anno il nome di un animale. Il 2024 è l’anno del drago verde di legno. Quello che ora mi interessa dire non è il perché o il significato. Di certo ne ha uno, non mi interessa (anche capire cosa non interessa è una forma di ricerca della semplicità, ma non c’entra con il calendario cinese). Quello che mi interessa è che, se l’animale o la figura associata all’anno fosse il buon proposito dell’anno nuovo, non è casuale che si tratti di un solo animale e non di uno zoo. Non è l’anno dell’elefante, del serpente e della tigre. È l’anno della drago e basta. I numeri semplici, possibilmente prossimi o coincidenti con l’unità, sono una manifestazione della semplicità.

Non avevo mai pensato al calendario cinese in quest’ottica, né avevo mai pensato a quanto la mia mania di darmi solo un unico buon proposito fosse aderente con l’ispirazione dei cinesi. Me ne compiaccio, ovviamente.

Mantenere una visione è più semplice che averne una lista intera: la tieni in tasca (o nella mente) e ogni tanto la tiri fuori. Non è un programma: nei prossimi mesi voglio essere così, voglio pensare così (cioè, in altri termini, trasformare il pensiero in azione e quindi essere diversamente da come sono stato sino a ora).

Pensare semplice. Fare semplice. Ascoltare semplice. Parlare semplice. Fare poche cose prestando attenzione a ciò che faccio.

La visione non è un fine ma un mezzo, o meglio: il mezzo è la semplicità, il fine è la ricerca delle verità, cioè la natura delle cose, e l’origine di noi stessi.

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