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Incapace

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Incapace

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Ogni mattino mi sveglio ed è come se dovessi imparare tutto di nuovo. Apro gli occhi e mi ricordo chi sono. Cerco il cellulare sul comodino, soprattutto cerco di zittirne la sveglia ma altrettanto spesso mi sveglio prima ancora che suoni. Da qualche mese dormo con le finestre non oscurate. Vorrei poter dire che è per rispettare i bioritmi (o per riallinearli) ma la verità è che mi dimentico di chiudere gli oscuri la notte prima. Forse è per questo che mi sveglio prima, il corpo ha già sentito la luce e pensa che sia ora di riattivarsi.

Ho l’impressione di aver dormito con i pensieri lasciati poche ore prima accampati sul cuscino. Al mio risveglio si sono risvegliati pure loro e, mentre ancora si stiracchiano piegando le loro piccole lenzuola (non più grandi di mezzo fazzoletto) iniziano già a cincischiarmi alle orecchie “Allora, ieri dicevamo: come la risolviamo quella cosa lì?”

Ogni mattino mi risveglio e non so nemmeno se non mi ricordo chi sono e se devo reimparare tutto ma ho sempre più il sospetto di volerlo.

Non so, sto iniziando a pensare che non sia una situazione in cui mi trovo ma piuttosto che sia esattamente dove e come mi voglio trovare. O almeno come ha deciso il mio subconscio. O inconscio. O come diavolo si chiama. Quello che decide tutto, soprattutto per se stesso, e poi per me.

Mi alzo. Rifaccio il letto (bisogna ricreare subito l’ordine all’interno del caos in cui ci si è risvegliati), faccio colazione, vado in bagno, ascolto la rassegna stampa, scorro i social, li trovo sempre meno interessanti, guardo le mail/decido di non guardare le mail, almeno ancora per un’ora, leggo 15 minuti esatti, faccio i Cinque Tibetani, medito 15 minuti. La routine funziona. mi ricorda chi sono.

Amo molto la meditazione del mattino. Nasce da quella che definisco “Onda Onirica”: dietro gli occhi e nella testa ho ancora frammenti di sogni e mi convinco che la meditazione li rievochi. O che comunque nasca da quella stessa materia. Altre volte è come un tuffo: appena chiudo gli occhi e faccio qualche ciclo di respirazione mi sento trascinare a fondo e tutto diventa blu. A volte vedo anche i pesci, altre la luce che filtra da lassù: c’è il letto appena rifatto, il libro appena letto, la vita appena ricominciata, ancora una volta.

La scorsa settimana scrivevo dell’anomalia, cioè di quegli squarci che a volte si aprono nella realtà e lasciano vedere altre dimensioni o forse la follia. Mi sono dimenticato di scrivere che uno dei più potenti che io abbia mai avuto mi accadde camminando, un giorno qualsiasi (le cose più potenti succedono sempre quando meno te l’aspetti, proprio perché non te le aspetti, forse): mi chiesi se la veglia non fosse il sonno e viceversa. E se risvegliandoci non ci fossimo invece addormentati e quindi il sogno fosse la vita reale?

L’inganno di una visione del genere è che sarebbe una beffa insopportabile se il sogno fosse l’unica esperienza che si ricorda e non viceversa. Se così fosse infatti ogni giorno dimenticherei chi sono e ricorderei solo cosa ho sognato, cioè la vita reale. Il fatto che i sogni che facciamo siano incoerenti e che raramente li ricordiamo corroborerebbe la sensazione con cui mi sveglio ultimamente: quella di dover reimparare tutto, ogni volta. Questa che chiamiamo realtà è un sogno e, come tale, non la posso ricordare e quindi devo reimparare tutto, ogni volta.

In fondo cosa può darmi e darci la sicurezza che questa in cui scrivo sia la realtà? Il fatto che la ricordo, giorno dopo giorno? Forse, o proprio quello potrebbe essere l’inganno, chi lo sa.

Forse la sensazione di dover ricominciare ogni volta potrebbe essere un invito a non ripercorrere le stesse strade che mi portano ogni giorno ad addormentarmi con quei compagni poco graditi che si accampano sul cuscino. Forse dovrei sorprenderli comportandomi come non si aspettano che io faccia. Se il risveglio fosse l’addormentamento e se tutto fosse invertito dovrei seguire il cammino meno coerente, dovrei stupirmi di me stesso come faccio nel sogno. Forse.

Nel sogno non so se esista la musica e nemmeno se esistano le parole. Non ricordo bene i dialoghi né se ve ne sono. Ricordo molti treni che prendo o che manco per un soffio (che metafore di facilissima interpretazione), ricordo strade che si intrecciano. Il sogno è la nostra intelligenza artificiale naturale: ogni notte rielabora frammenti reali o meno – o li reimpasta a tal punto da renderli irriconoscibili dalla memoria – e li ripresenta sotto mentite spoglie. Gioca a nascondino, cela indizi.

C’è un altro aspetto del sogno – di quello che comunemente viene definito come tale, non di quello che mi sono divertito sin qui a invertire – che trovo affascinante.

Nel sogno tutto è deciso dall’inconscio, e niente del sogno è deciso dalla volontà. Nel sogno l’Io senziente tace.

C’è un abbandono dolce nel sogno che consiste nell’essere indifesi e addormentati, ma vigili quel che basta a percepire di essere protagonisti del sogno senza poterne decidere alcunché. Un sogno viene subito, non viene deciso. La volontà è sedata, o la volontà non è controllabile. La sceneggiatura è scritta altrove.

Allora la differenza fra sogno e realtà è che la realtà è il dominio della volontà attiva mentre il sogno lo è di quella passiva: la storia del sogno è decisa da una parte della mia mente deputata alla sua sceneggiatura ma io non la conosco, pur avendola evocata e definita.

Allora ho capito che una definizione dell’intelligenza umana è la capacità non solo di poter e saper sognare ma anche di rendersi conto di sognare. I computer non sanno sognare, o non ancora, o di certo non presto.

Vado a letto e cerco di addormentarmi. O di risvegliarmi, forse?

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