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Il sistema video VHS usato da decine di milioni di persone per registrare momenti di vita familiare fu adottato prima di tutti dall’industria del porno: ci mise pochissimo a capirne le potenzialità.
Il primo ambito in cui venne utilizzato il GPS fu quello militare.
Le innovazioni tecnologiche nascono in ambiti industriali ed economici strani, che finiscono spesso per non essere quelli in cui queste si affermano. Pochi sanno o si ricordano come sono nate molte delle tecnologie che oggi usiamo.
In genere vengono accolte per prima in almeno due ambiti: quello in cui il vantaggio marginale dato dal loro impiego è essenziale (quello militare, ma anche il porno) e quello popolato da persone più curiose e sensibili verso la tecnologia. E non parlo di gadget o prodotti interessanti per alcuni per il solo fatto di essere nuovi: parlo di tecnologie allo stato embrionale di cui alcuni riescono a leggere le potenzialità.
Gli NFT sono stati adottati con entusiasmo dal mondo dell’arte per introdurre la scarsità in un universo illimitato per definizione come quello digitale. Se non esiste un limite alla replicabilità di un prodotto, il suo valore tende a zero. Nel mondo dell’arte digitale non esiste nemmeno il concetto di originale dato che ogni sua copia gli è esattamente identica. Non è strano quindi che proprio questo mondo abbia accolto una simile tecnologia con favore, dato che rende possibile dare un valore a ciò che, nell’era della replicabilità infinita, non ne ha alcuno.


Gli NFT sono una risposta possibile alla domanda “Come dare valore estrinseco a ciò che non ha valore intrinseco?”.
Come è accaduto per molte altre tecnologie non è tanto interessante ciò che fanno ma le potenzialità che hanno. Il VHS era uno standard di registrazione video più economico e pratico della pellicola analogica e le economie che permetteva ne hanno facilitato l’adozione in ambiti prima inimmaginabili. L’iPhone era nato dall’idea di accorpare un iPod, un browser internet e un telefono in un unico dispositivo e, almeno all’inizio, nessuno avrebbe potuto immaginare quali forze creative avrebbe scatenato l’invenzione dell’Appstore.


Le tecnologie più riuscite e rivoluzionarie portano con sé rivoluzioni che i loro creatori stentano a immaginare. La loro diffusione inoltre segue una regola prevedibile e ineludibile: quanto più semplici sono, tanto più inevitabile sarà la loro affermazione.
La tecnologia più efficace è quella che diventa parte integrante della quotidianità di tutti, senza che più si pensi a cosa serve esattamente, tanto meno a come è nata e perché. La si utilizza e basta, così come oggi usiamo decine di app non pensando a come è nato l’ecosistema del mercato delle app e a quali protocolli o codici vi siano dietro, tanto quanto usiamo una bicicletta o prendiamo un aereo senza riflettere alla fisica che rende possibile l’equilibrio su due ruote o il volo di oggetti che pesano decine di tonnellate.
Una tecnologia ha successo e si afferma quando smette di essere percepita come tale e diventa quotidiana, scontata, ovvia.


Così è probabile che accada con gli NFT, le cui applicazioni potenziali sono molto più vaste e interessanti di quelle attuali, spesso oggetto di scherno o incredulità per le quotazioni deliranti (e conseguenti crolli a valori risibili) di tante opere d’arte digitale.
Gli NFT sono contratti digitali che, come tali, stabiliscono che qualcuno possiede qualcosa acquistato a una certa cifra e secondo determinati termini legali. Gli NFT possono quindi essere usati anche per stabilire la titolarità (e sua conseguente cedibilità) di un biglietto di un concerto o di una partita di calcio, di una casa, di un’auto, o possono regolare i termini di una relazione professionale fra soggetti. Oggi riguardano oggetti digitali ma domani potrebbero essere impiegati in ambiti prevalentemente analogici e materiali.
Senza entrare nei tecnicismi della blockchain e della verificabilità della titolarità, questa tecnologia ha la potenzialità di diventare normale e scontata in un futuro prossimo, anche grazie ai molteplici ambiti in cui può essere utilizzata. È anzi plausibile che quello del mercato dell’arte digitale diventi uno dei tanti e forse nemmeno il più importante, tanto che ci si dimenticherà che il tutto è nato proprio lì, per comprare o vendere file di immagini.


Il momento in cui diventerà uno strumento di uso talmente comune da perdere il suo stesso nome coinciderà con la perdita della sua natura tecnologica e con la sua definitiva integrazione nella quotidianità. Ciò che ha una componente tecnologica prevalente pone sempre una distanza fra sé e chi la utilizza ma quanto più questa sua natura si stempera e diventa normale, tanto più diventa familiare e naturale il suo utilizzo. Nessuno si chiede che tecnologia vi sia alla base di un tostapane, di una lavatrice o di un computer: hanno delle funzioni e per quello le usiamo.
È plausibile che gli NFT non si chiameranno nemmeno più così e che un giorno diventeranno così comuni – o almeno la tecnologia e l’intuizione che ne è alla base – che non ci ricorderemo nemmeno più come nacquero e che i primi a usarli furono degli artisti. Che, come spesso accade, videro il futuro prima degli altri.

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