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Ipotenusa

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Ipotenusa

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Forse il fatto che in quel momento stessi andando in bici ha influenzato il ragionamento, anche se in maniera inconscia. Mentre pedalavo ho iniziato a pensare al triangolo e quindi all’ipotenusa. Come si sa, il telaio di una bici (quantomeno quelle da uomo) è composto da due triangoli, di cui uno più grande. Il tubo della bicicletta è l’ipotenusa. Che poi, tecnicamente è solo il lato lungo, ho scoperto poi ripassando geometria, perché l’ipotenusa è il nome che prende il lato maggiore di un triangolo, ma solo nel caso del triangolo rettangolo. Quindi, se il telaio di una bici è composto da un triangolo rettangolo, allora il tubo è un’ipotenusa, altrimenti è solo un lato maggiore, che potremmo definire anche “un’ipotenusa che non ce l’ha fatta”.

I miei pensieri non c’entravano però con la bici in sé ma chissà, magari il mio cervello aveva registrato quella forma geometrica mentre la inforcavo e aveva iniziato ad arrovellarvicisi attorno, come se non avessi avuto altre cose a cui pensare.

Ricordo che l’evoluzione del ragionamento aveva raggiunto in poche pedalate una sintesi perfetta:

Scegli sempre l’ipotenusa.

So che può sembrare un po’ criptica ma ha un senso. Basta ricordarsi qualche lezione di geometria elementare per riportare alla mente una delle constatazioni più sorprendenti che si possano fare in età scolare: la somma dei cateti è sempre superiore alla lunghezza dell’ipotenusa. Così come la somma di due lati di un triangolo è sempre superiore alla lunghezza del lato rimanente. Non so se si dica così, ma insomma.

Non ci stavo pensando da decenni, eppure è un ragionamento bellissimo, è una verità splendente. Una di quelle cose controintuitive ma che poi ci pensi e dici “Certo che è così!”

Tutti vorremmo che vincesse l’ipotenusa e invece lei esiste solo nei triangoli rettangoli (il che già riduce le sue possibilità di essere più lunga – almeno una volta! – della somma dei due cateti).

Perché avevo pensato “Scegli sempre l’ipotenusa”? Perché, se un triangolo ha vertici A, B e C e l’ipotenusa è BC, percorrendola si possono raggiungere i punti B o C in modo più semplice che trovandosi sui lati AB o AC. Metti che sei un punto su AC: puoi solo andare da A a C ma non potrai mai andare a B. Viceversa per AB, che non potrà mai andare a C. Un punto su BC – cioè sull’ipotenusa – può andare sia ad A che a B. Molto meglio, no?

Ok, non può andare mai ad A ma cosa gli interessa in fondo? Ha già il doppio di possibilità, facciamo che si accontenta: ha B e C e può tranquillamente snobbare A, che se ne stia là, lontano.

Ecco perché mi dicevo, pedalando, che in fondo è meglio stare su un’ipotenusa, o sul lato lungo.

Il triangolo è anche l’equivalente dell’existenz-minimum della figura piana: voglio dire, ha il numero minimo di lati per essere considerata tale, dato che un lato in meno non gli consentirebbe di essere tale, e uno in più lo renderebbe un rettangolo o un quadrato. Oltre i tre lati ci sono solo figure che per forza sono piane, nel senso che fanno poca fatica a esserlo. In un certo senso, ogni figura piana con più di tre lati ne ha sempre in eccesso, perché gliene basterebbero solo tre per essere una figura piana. Il triangolo è il primo della serie, fra tutte le figure può vantare questo suo primato.

Il triangolo è inoltre una figura che contiene una singolarità (che so poter essere anche altro, ma in questo caso sta a indicare una cosa solitaria) e una coppia. E si badi e ci si meravigli di fronte alla potenza di una cosa che esiste sola, in contrasto con altre due che stanno in coppia. I cateti stanno in coppia e solo da questa condizione di duplicità traggono il senso della loro esistenza, mentre l’ipotenusa (o il lato lungo) può giustificare da solo la propria esistenza. Ha bisogno solo di se stesso, o meglio: da solo vale tanto quanto una coppia. Essendo pure più corto della somma dei segmenti di questa coppia! Che cosa straordinaria.

Trascurando il fatto che i lati siano tre come la Trinità e non volendo quindi per ora scivolare in affabulazioni mistico-religiose, è opportuno tornare per un attimo a quel suo essere luogo dei punti lungo il quale si possono raggiungere ben due vertici. Ecco perché dicevo che, nel dubbio, è sempre meglio scegliere l’ipotenusa: perché per la sua strada si giunge a due estremità. L’ipotenusa insomma contiene infiniti punti interessanti, contiene variazioni e vibrazioni. Se la si potesse guardare al microscopio – dimenticandosi per un attimo che un segmento non ha spessore, la si vedrebbe vibrare e agitarsi impercettibilmente, animata dal caos dei punti che la compongono che non hanno ancora deciso da quale dei due vertici sono più attratti.

Ma cosa in definitiva mi attirava dell’ipotenusa? Il fatto che sia un meno (in lunghezza) pur traducendosi in un più, perché in definitiva misura meno di una somma (dei cateti) che, considerati singolarmente, non sarebbero in grado di superarla.

Nel mentre di questi ragionamenti, pensavo a cosa mi avesse attirato di essa, e poi sono giunto a una spiegazione: l’ipotenusa è quella che dovrebbe avere meno potere (è sola, è più corta della somma degli altri due lati) eppure è in grado di far della sua debolezza un punto di forza.

Allontanandoci dalla metafora geometrica, la condizione dell’ipotenusa mi ha portato a riflettere su qualcosa di più aderente e utile alla vita, e cioè a un esercizio che bisognerebbe abituarsi a fare (lo dico soprattutto a me stesso). Si tratta di invertire le categorie e i giudizi, pensando attivamente al fatto che una debolezza potrebbe essere una forza.

È un po’ quella formula che sento ripetere spesso, e cioè “It’s a feature, not a bug”, per dire di qualcosa che potrebbe apparire come un difetto e invece è un pregio. Tipo una cosa che si dice spesso dell’intelligenza artificiale, ossia che non dà risposte esatte. Il bug (difetto) è l’incapacità di darne, che può anche essere letto come una feature, cioè una caratteristica positiva, ossia quella di essere creativa e imprevedibile.

Certi discorsi fatti in questi giorni (da me con altre persone) mi hanno fatto riflettere sul fatto che la visione dicotomica del mondo (bianco/nero, giusto/sbagliato) porta pigramente alla constatazione che è più diretto e sbrigativo (cioè più efficiente in termini di calcolo mentale) pensare per associazioni mentali, giungendo contemporaneamente alla conclusione che il giusto stia solo da una parte. Esempio: caldo/freddo, comunicazione/incomunicabilità, bello/brutto. Intendiamoci: sono letture comprensibili che però indugiano troppo su una visione moralistica. Se il freddo è sbagliato, il caldo è il giusto? Dipende. Se comunicare è giusto, non farlo è sbagliato? Non è detto.

Mi trovo sempre più spesso a chiedermi se gli aspetti negativi o sottovalutati delle cose non si possano invece leggere diversamente. A ben pensarci sono delle potenzialità inespresse. Uno studente con un rendimento negativo ha un potenziale inespresso (molto). Un’auto lenta ha molti margini di miglioramento in termini di velocità. No, in questo caso non funziona.

Per funzionare, il capitale inutilizzato deve esistere in primo luogo, solo che è trascurato o non esplicito. Lo studente del caso precedente deve avere un minimo di intelligenza, pur se sotterrata sotto metri di mancanza di motivazione o voglia di studiare.

Ma torniamo all’ipotenusa: il suo “difetto” è di essere più corta della somma dei cateti ma la sua caratteristica è di unire due punti senza soluzione di continuità. È un luogo delle possibilità, ecco.

È un tubo di bicicletta, che risolve elegantemente la distribuzione delle forze al suo interno, tanto che la versione da donna (senza tubo) necessita di un raddoppio della struttura per essere altrettanto rigida. Pesando alla fine di più.

L’eleganza e pulizia di una soluzione statica si traduce anche in efficienza, e una definizione di efficienza è fare il massimo col minimo.

Quello che voglio dire alla fine è che l’ipotenusa non sarebbe tale senza i cateti, che siamo definiti per contrasto e che siamo poliedrici: non ci descrive un solo aggettivo, e sembriamo e siamo tutti diversi sotto a diverse luci, sia reali che metaforiche.

Cerco di ricordarmelo, niente di più. Certo di non vedere sempre e solo un aspetto della questione, forse è una forma di ottimismo, forse è un rantolo di disperazione consapevole, che cerca del buono anche nelle blatte. Che serviranno a qualcosa nella catena alimentare.

E volevo solo parlare dell’ipotenusa.

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