Quante manifestazioni di potere esistono? Non intendo solo quelle più plateali ed evidenti (sociali, politiche ed economiche). Mi riferisco a quelle più familiari e intime, molto spesso poco evidenti o scambiate per normali e imprescindibili comportamenti di certe geometrie relazionali personali: compiacere i genitori, compiacere il compagno o la compagna, compiacere i figli. Si tratta di un potere e del suo esercizio molto più intimi e silenziosi eppure più potenti: viene esecitato ogni giorno in un ambito più intimo e profondo di altre manifestazioni di potere più pubbliche e sociali.
Non è affatto facile non compiacere. Non solo perché facendolo ci si aliena chi non è più oggetto di compiacimento ma perché comporta una profonda coscienza di sé e dei propri limiti.
Compiacendo, questi limiti si spostano così tanto che alla fine non si sa più chi si è. Saper evitare di compiacere e non farlo è un esercizio difficile che può dare come risultato l’isolamento.
Vi è di buono però che chi non viene compiaciuto ma capisce resta vicino a chi non compiace esprimendo un’altissima forma di amore: quello disinteressato e puro. Chi, non compiaciuto, si allontana non meritava affetto o preoccupazioni sin dall’inizio: meglio essersene accorti in tempo.
Per non compiacere bisogna sapere dire di no e non è facile farlo perché bisogna conoscersi e sapere quali e dove sono i nostri confini. Significa anche rifiutare una forma di potere che, come tutte le forme di potere, ha infiniti e subdoli modi per insinuarsi nella vita.
Non compiacendo si decide consapevolmente di non rinunciare al proprio territorio emotivo, di non cederlo ad altri. Come detto, ciò richiede innanzitutto di conoscerne i confini e non è affatto detto che li si conosca. Molto più spesso ci si lascia definire dagli altri, rinunciando a conoscersi, a difendersi o, eventualmente, a concedersi agli altri.
Se non ti conosci perfettamente non puoi fare altro che compiacere perché facendolo cerchi approvazione e una definizione di te stesso. Chi non compiace conosce benissimo sé stesso e sa distinguere tra il compiacere e l’amare. Chi non compiace non proietta sugli altri la persona che pensa gli altri egli sia.
Chi non compiace conosce e sa. Amare, soprattutto.
Non si tratta ovviamente di amore sentimentale ma piuttosto di buona predisposizione e di comprensione umana. Non compiacendo si sceglie di amare invece che riconoscere il potere altrui sottomettendovisi.
Non è facile e non è un gesto singolo. È un atteggiamento preparato da molta consapevolezza e comprensione: di sé, dei propri confini, di ciò che si è disposti a concedere agli altri. Ogni volta che si ama ci si spoglia e si è indifesi. Bisogna saperlo fare solo con chi lo merita davvero.
Nel 2020 mi chiederò sempre (cercherò almeno): sto compiacendo o sto volontariamente amando?
2020: è un bellissimo numero. Merita un proposito rotondo e importante. Buon anno.