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Tulipani

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Tulipani

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Poco fa sono passato accanto ai tulipani che stanno in un vaso, sopra un mobile. C’era un petalo a terra. Hanno pochi giorni ma si sono già aperti, segno che ne dureranno meno ancora. Dopo poche decine di minuti accanto a quel petalo ce n’erano altri tre. Domani ne troverò molti di più. Forse questi tulipani dureranno meno di quanto abbia previsto.

I tulipani sono uno dei pochi fiori di cui conosco il nome, credo sia perché la loro forma è inconfondibile e il nome è semplice da memorizzare. Io non ricordo né riconosco le cime delle montagne né i nomi delle piante e dei fiori. Ho impiegato anni a leggere un menù giapponese capendo con buona approssimazione a che tipo di cibo si riferisse un certo nome. Il sushi l’udon l’edamame ecc. Per fiori e piante è lo stesso: il mio cervello non riesce a trovare la corrispondenza fra l’immagine di un fiore e il suo nome. Evidentemente non mi interessa, pur piacendomi molto i fiori.

A volte (ogni volta) li guardo nel vaso e mi chiedo se sono felici a starsene recisi e immersi nell’acqua. L’acqua è il loro accanimento terapeutico: serve solo a diluire la vita che gli è rimasta e a dilatare il tempo per allontanare la morte. Sono già morti eppure non lo sono ancora. Quindi non credo che siano felici né che sappiano di essere prossimi alla morte. Stanno, ecco quello che fanno.

Mescolando letture e pensieri di questi giorni, riflettevo anche sul fatto che la caducità (letterale) dei tulipani è simbolica della caducità di un po’ tutto. Per esempio in questi giorni ci sono anche i sakura – i ciliegi che fioriscono – o ci sono stati: una perfetta metafora della necessità di apprezzare i momenti che durano, appunto, come tali: un soffio lungo quanto un frammento di tempo.

Che la bellezza non duri è una cosa a cui si fa fatica ad abituarsi, se mai ci si può riuscire. Quando la si nota e se ne gode vorremmo che fosse per sempre e invece la sua perfidia e la sua natura la fanno sfiorire nel tempo di chiudere le palpebre e riaprirle. Sarebbe minore l’intensità della bellezza se durasse più a lungo, magari per sempre? Diventerebbe normale e si finirebbe per non notarla più. Ecco perché i ciliegi fioriscono e sfioriscono in pochissimo tempo, ecco perché i tulipani dopo qualche giorno si aprono e perdono i petali: così aumenta l’intensità della loro bellezza.

Sono felici i tulipani o i fiori di ciliegio? Sanno di essere belli? Sanno di donare bellezza e gioia? Sanno che stanno morendo?

È chiaro che non lo sanno ed è chiaro che solo noi umani cogliamo la loro bellezza.

La bellezza è quindi un’elaborazione mentale: esiste solo nella mente di chi la coglie e ne gode. Tutto ciò che accade – che ci accade – viene filtrato e diventa esperienza. Anzi: l’esperienza è l’atto e il suo ricordo diventa memoria. La memoria è anche un criterio di riferimento per giudicare la condizione esistenziale. “Sto bene” nel senso di “Meglio di ieri o come stavo quando ero felice anni fa”. Al centro c’è sempre e comunque l’ego o la mente – non so quale contenga l’altro o l’altra, né se siano la stessa cosa.

Questo pensiero mi ha fatto arrivare ad altro, che poi è legato alla meditazione e a cosa ne scrissi al riguardo tempo fa, ossia che trovavo interessante che potesse servire anche a disintegrare l’Io, o forse ad abbassarne il volume. Parlavo di Io o di Ego? Non ricordo, ma diciamo per semplicità che li considero la stessa cosa.

Tutto ciò che ci accade – la vita – è sempre valutato in relazione al nostro Io, quindi avrebbe senso annullarlo? La condizione umana è di puro ego-centrismo: noi siamo il sole e la realtà sono i pianeti che ci ruotano attorno, mentre la vita è l’intera galassia.

Ogni esperienza viene filtrata da noi, e la reazione corrispondente è l’interpretazione che ne diamo. “Essere tristi” è una reazione a una o più condizioni in cui si è immersi. Si potrebbe anche dire che la felicità o la tristezza non esistono a livello cosmico ma esistono solo perché noi le facciamo esistere.

Allora mi chiedevo se togliere l’elemento che genera queste reazioni possa essere una possibile soluzione. Eliminerebbe forse la tristezza ma altrettanto la gioia: togliendosi dall’equazione delle emozioni non avrebbe più senso l’espressione matematica stessa. Mancherebbe l’operatore e resterebbero solo i fattori (qualche matematico sta avendo le convulsioni ora, lo sento).

Riflettevo e rifletto attorno a questo, quindi: che se ci si toglie dal centro si può avere una percezione diversa degli eventi. Mi sembra una prospettiva interessante che mi ha fatto ripensare anche a due cose, collegate.

La prima è una linea di ricerca guidata da Willoughby Britton, una professoressa associata di Psichiatria alla Brown University, che indaga sugli effetti collaterali della meditazione. L’altra è una discussione che ho avuto con diverse persone riguardo alla capacità della meditazione di equalizzare le emozioni.

La meditazione fa male?

Esagero consapevolmente la tesi della Britton che non afferma una cosa del genere ma evidenzia alcuni effetti non piacevoli indotti dalla pratica meditativa. A dirla tutta, lei e il suo team ne hanno evidenziati 59 divisi in 7 categorie. Senza elencarli tutti, riguardano disturbi del sonno, della capacità di concentrazione, di produzione di idee, di comprensione di concetti e automatismi (alcuni, dopo la meditazione, lamentano di essersi trovati di fronte a un semaforo rosso senza sapere cosa significasse), acutizzazione di tratti problematici del carattere, apatia, aggressività, comportamenti psicotici ecc.

Invece che spaventarmi, la cosa non mi meraviglia. Come ogni pratica, non è detto che faccia bene a tutti e la ricerca della Britton, aumentando la consapevolezza al riguardo, fa solo un’opera meritevole. Lei stessa è la prima a lodarne i moltissimi effetti positivi, quindi intendo il suo lavoro come la constatazione dei risultati di una delle abitudini più diffuse nella società occidentale: l’innamoramento per pratiche che si pensano risolutive (Le Teorie del Tutto, le chiamo) e l’abuso delle stesse. La misura è assai poco diffusa in questa società.

In altri termini: conosco bene i benefici della meditazione (li sperimento ogni giorno) ma non mi meraviglio che praticandola ossessivamente si ottengano effetti opposti. Così come trovo normale che su alcune persone non funzioni o, anzi, ne peggiori le condizioni. Una pizza fa bene, dieci pizze non fanno dieci volte più bene, anzi.

La ricerca della pillola miracolosa è ancora una delle allucinazioni collettive più diffuse e permeanti.

L’equalizzatore delle emozioni

Come dicevo, questa è una delle conversazioni che ho avuto più frequentemente, e verte su un aspetto cruciale degli effetti della meditazione, ossia la distanza che riesce a creare fra chi la pratica e le emozioni che prova.

In verità la questione può essere vista con diverse ottiche. Portando l’attenzione sul presente, la meditazione aiuta per esempio a relativizzare e controllare l’ansia, che è notoriamente una risposta emotiva (non è precisamente un’emozione) generata dalla proiezione di eventi futuri. In altre parole, la meditazione insegna a concentrarsi sull’attimo presente, che è anche quello in cui non si è ancora verificato niente di ciò che genera l’ansia.

Un effetto della meditazione è insomma quello di controllare meglio le emozioni, proprio perché insegna a collocarle nel flusso temporale. Se qualcosa non sta accadendo ora è inutile permettere al cervello rettiliano di assumere il controllo e attivare la funzione di panico per rispondere a un pericolo che ancora non c’è e che probabilmente, anche avvenisse, non metterà in pericolo la nostra vita.

Il controllo delle emozioni è visto con un comprensibile sospetto da molti perché le emozioni sono sia positive che negative. Si teme forse che si risolva in una specie di apatia esistenziale.

È un punto di vista comprensibile. Io la vedo diversamente: penso che la meditazione sia un equalizzatore di emozioni. Disponendole su un grafico se ne possono evidenziare i picchi e gli andamenti, cioè i momenti in cui prevalgono la gioia o la tristezza, la paura o la rabbia. La meditazione riduce i picchi, non le emozioni. Aiuta a percepire meno brutalmente certe emozioni negative e anche a vivere meno pienamente quelle positive, è altrettanto vero.

Come sempre però dipende: per alcuni potrebbe risolversi in apatia, per altri in un salutare controllo emotivo, per altri in niente di percepibile.

L’ultimo punto di vista è questo: che forse la giusta distanza è una salutare risposta alla gestione delle emozioni perché pone in una relazione salutare gli elementi dell’esistenza. Niente e nessuno domina, tutti possono esistere o coesistere.

Controllare le emozioni non significa non provarle né annullarle o negarle: significa solo non lasciarsene sopraffare.

Provare emozione riporta il discorso al centro, dove c’è l’Io. Non so se pensare di annullarlo sia un’evoluzione o un punto di stallo della ricerca esistenziale. Ho un’immagine o un’idea che mi guidano:

Pensarsi come corpi attraversati dall’energia cosmica. Il senso è darle forma e trasformarla in qualcosa di visibile e possibilmente utile. Non osservare le emozioni che si provano ma spostare lo sguardo da ciò che provocano individualmente a qualcosa di esterno. Essere filtri. Lasciarsene attraversare.

A volte l’Ego è un ostacolo. Spesso direi. Si mette fra gli occhi della mente e le cose e pretende di essere osservato. Vorrei vedere quello che c’è oltre, mi sembra possa essere interessante.

Forse non si tratta di disintegrare l’Ego ma di attraversarlo con lo sguardo. Si tratta di renderlo trasparente.

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