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Quel che resta del 1992

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Quel che resta del 1992

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Fino a 18 anni non sapevo perché la destra si chiamasse così e nemmeno la sinistra. Non sapevo derivasse da dove sedevano in parlamento. Non sapevo nemmeno cosa le distinguesse. La mia coscienza politica nacque dalle macerie di un mondo che stava per essere abbattuto dalla più devastante ed estesa inchiesta sul mondo politico italiano mai esistita. Nacque insomma dalle macerie di un mondo che non conoscevo. Non potevo averne nostalgia, ero ignaro.

Un film

Quello a cui molti assistevamo — per far capire a chi non c’era — era un film che andava in onda ogni giorno all’ora del telegiornale: i buoni da una parte, i cattivi dall’altra. I magistrati buoni da una parte e i politici cattivi e corrotti dall’altra. Una distinzione netta e precisissima.

Non accade mai nella vita reale dove il male e il bene si mescolano fino a rendersi irriconoscibili e a confondersi, ma in quei giorni accadeva. La realtà era finalmente perfettamente manichea e noi, il popolo, eravamo dalla parte dei buoni. Un film hollywoodiano dei più canonici si svolgeva in tempo reale ed era la realtà. Buoni e cattivi. E i buoni vincevano e guadagnavano terreno giorno dopo giorno. Il potere si sgretolava e ogni frustrazione del popolo trovava la giustificazione della sua esistenza nei soprusi del potere. Che stavano per essere spazzati via. Avevamo una giustificazione, un nemico comune. Più che l’affermazione della giustizia credo che quello che ci ha ubriacati sia stato l’idea che tutto fosse chiaro e definito. Finalmente capivamo, o credevamo di aver capito.

Roma, città fortunata, invincibile e eterna.

Queste parole di Tito Livio mi tornarono alla mente molti anni dopo. Cosa è rimasto oggi di Mani Pulite? Da quella furiosa battaglia ne uscì devastato un intero sistema politico. Su quelle macerie edificarono partiti e poteri che di nuovo o genuino — si capì poi — avevano ben poco: Silvio Berlusconi e la sua Forza Italia erano una versione più organizzata e spietata di quanto c’era stato prima. Non a caso ne erano parte integrante ed erano cresciuti e prosperati proprio grazie a certi legami e parentele. La destra di Fini fino ad allora ostracizzata per i suoi legami mai negati con il fascismo potè ambire al potere o almeno a non essere più relegata nelle sotterranei della politica. La Lega Nord era più genuina. Nei primi mesi. Poi si è visto quanto poco ci mise a farsi piacere il caldo abbraccio di quella Roma che chiamavano ladrona. La chiarezza apparente che aveva dato l’impressione al popolo di essere nuovamente — o forse per la prima volta — padrone del suo destino si confuse e diluì ben presto.

Gli stessi buoni, i magistrati, seguirono traiettorie impensabili al tempo. Alcuni dopo poco andarono in pensione, altri divennero politici a loro volta, con buoni intenti all’inizio, poi con alterne fortune o con esiti modesti. I processi si fecero, alcuni vennero condannati, al popolo sembrò non interessare nemmeno tanto che corso aveva fatto la Giustizia. La forza propulsiva, rivoluzionaria, sconvolgente di Mani Pulite si esaurì poco alla volta. L’invincibile armata giunse alle porte di Roma e Roma l’accolse, come sempre ha fatto con i vincitori.

Roma è donna

E non lo è a caso. Lo è nel genere, lo è in quanto capitale. Roma è eterna, Roma vince sempre. È donna poiché si finge preda e il conquistatore la considera tale: oggetto da far suo, potere di cui appropriarsi per governarlo infine. Ma la preda è spesso la cacciatrice stessa. Il predatore è convinto di esserlo e invece è solo attratto e poi preso ostaggio dalla sua stessa preda. È eterna in questo: che è un’entità sovraumana, ultrasecolare, che sempre sopravviverà ai sistemi politici, che sempre li vedrà nascere e morire per sopravvivergli.

Armate di politici più o meno civilizzati, più o meno bellicosi vi sono scese. Volevano riformarla, mondarla, guarirla o raderla al suolo. Ne sono usciti sconfitti nella maniera più morbida e subdola: diventando parte di quel certo sistema di potere, lasciandosene soggiogare. Dovendo fare i conti con il fatto che la politica è l’arte del compromesso e non l’affermazione di un’ideologia. E che vi sono sistemi umani e di potere che sono semplicemente più forti della forza di un’idea, per quanto poi quelle che tentarono di imporsi nel dopo Mani Pulite di ideologico o filosofico avessero ben poco: c’era quella berlusconiana che leggeva tutto in termini di prodotto e marketing, di domanda e offerta, di illusioni e promesse; c’era quella rozza e brutale della Lega o quella più antica della destra estrema. Nessuna prevalse se non per poco, tutte si schiantarono sull’accogliente letto di Roma.

Quella stessa Roma così ben descritta da Fellini che nel Casanova la mostrava dedita a feste e gozzoviglie fra cardinali allupati e notabili storditi dal vino e dalle libagioni.
Perché Roma è una madre che tutto ti perdona: le tue forze esalta, le tue debolezze giustifica.
E Roma alla fine vince su tutto e tutti. “Un cimitero che scoppia di salute”, come la definì ancora una volta perfettamente Fellini. Sempre data per spacciata, per conquistabile eppure sempre vitale, sempre capace di risorgere e sconfiggere il nemico con l’arma di un abbraccio e non col rifiuto.

L’Italia è cambiata molto e non è cambiata affatto come si pensava sarebbe cambiata in quell’inverno del 1992. Alcuni poteri si sgretolarono per poi riformarsi altrove: diversi ma riconoscibili. Erano sempre gli stessi. Non si riformò poi molto e a un sistema di potere corrotto ne seguì uno che ne continuava in parte le pratiche ma fingendo di essere nuovo. Quel che di nuovo c’era finì ben presto per essere molto simile al vecchio. Cambiarono i metodi, non la sostanza.

Di certo non vinse il popolo che in quanto entità è un’astrazione da geografia politica o economica e che non conta il sentimento e le inclinazioni dei singoli. Il popolo non esiste, il popolo è una mente ottenuta dall’addizione di egoismi ed individualismi: non può pensare, non può agire. Può restare come resta un’idea.

Un’altra ideologia cadde ai piedi di Roma: l’ideologia del popolo che voleva la rivoluzione, che voleva affermare il suo essere un esercito buono. Giunse a Roma, Roma se ne fece conquistare.
E poi lo fagocitò, vincendo ancora una volta.

Roma, città fortunata, invincibile e eterna.

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