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Panteismo

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Panteismo

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“Ho deciso che non sono più ateo”: da ora sono pagano.”

Al momento mi era sembrata una presa di posizione onesta e persino brillante. Da mesi rifletto sulla mia via spirituale, saranno i cinquanta che si approssimano oppure la mancanza di risposte nella dimensione ontologica, per esempio alla domanda “È tutto qui?”

In corpo avevo però anche due birre altrettanto ontologiche e da quando ho smesso di bere (perché ho sempre smesso, bevo solo in occasioni sociali, e questa era una di quelle) mi basta pochissimo per sentire la testa abbastanza leggera da poter rivedere la mia inclinazione teologica in pochi minuti.

In verità quello che intendevo – penso il giorno dopo svegliandomi e mentre continuo ancora a pensarci – era “panteismo”, cioè “sono panteista”.
Forse lo sono sempre stato, solo che me ne sono accorto solo ora.

Per la verità la questione non è solo complessa, ma è anche più complessa. C’è un ulteriore livello di complessità, insomma.

Pur nel mio sostanziale positivismo, non posso dire che le risposte della scienza rischiarino ogni angolo di conoscenza, né che sollevino ogni velo della realtà. La scienza procede per passi, tentenna e rischiara, quindi è logico che sia così. Ragionando per assurdo però mi chiedo anche “E se un giorno arrivasse a spiegare tutto?”

Ci potremmo ritenere soddisfatti? Forse sì, ammesso che sia quello il punto, cioè il trovare le risposte a tutte le domande, le spiegazioni a ogni fenomeno.

Non credo sia quello il punto e credo che quella soddisfazione finale – l’apoteosi del positivismo – sarebbe anche l’inizio della depressione che seguirebbe alla constatazione che non c’è più niente da scoprire. Sarebbe la fine della curiosità, e anche una seria ipoteca sulla voglia e la necessità di alzarsi al mattino per andare incontro a un eterno giorno della marmotta, ancor più alienante non perché si ripeta sempre uguale a se stesso ma perché si reitererebbe in infiniti e pirotecnici svolgimenti. Che avremmo previsto tutti, fino all’ultimo.

Torno al panteismo che è – semplifico e mi faccio enciclopedico – il credere che Dio sia ovunque. Un Dio frammentato in ogni atomo del cosmo, un velo di divinità che ricopre e sostanzia ogni cosa. Dio è l’innumerabile e l’indicibile perché non si può far un inventario dell’infinito, lo si può solo chiamare con un nome che dice che è tutte le cose contemporaneamente: infinito, insomma.

Allora mi sono detto che c’è qualcosa di inspiegabile nelle cose, una profumo di fiori nell’aria della sera, un particolare riflesso del sole su una foglia che la rende immacolata e bianca, la consistenza fredda della terra appena arata. Tutte immagini molto concrete, e non mi stupisco che sia così: l’infinito si manifesta nella violenza sensibile di certi fenomeni naturali. Nella grandezza delle città si colgono le vette dell’ingegno umano, nel vento che piega gli abeti di un bosco si coglie la potenza della natura.

Ci sono forze che tendono i loro muscoli e flettono i loro corpi: si fanno percepire ma non si mostrano mai davvero. Che forma ha il vento? Quando è grande? Non lo si può misurare se non per la sua velocità, ed è un numero, non dice niente della sua potenza e la fa solo immaginare. Un numero è una sintesi, è una riduzione miserabile della cosa che rappresenta.

Il fatto è che le domande sono meglio delle risposte, forse perché le domande e il porle dà uno scopo, mentre il sapere le risposte si ripiega su se stesso e annienta: la risposta annichilisce la curiosità.

Le spiegazioni che diamo costringono poi le cose in ambiti stagni: ci sono l’economia la politica la fisica la matematica la statistica la storia e tutto il resto. Ci sono teorie che spiegano cose e poi il Sacro Graal delle teorie: La Teoria del Tutto. Che, in quanto Sacro Graal, non esiste o è introvabile.

Tutto però deve essere in qualche modo connesso, perché tutto appare come è oggi o apparirà per come si trasformerà domani in conseguenza del continuo influenzarsi di una cosa e dell’altra, di un essere umano con un altro e di questo con un animale o con un frullatore. Tutto è connesso e quindi da qualche parte deve esistere una teoria che spieghi tutto: da Dio al perché la pioggia scende invece che salire al cielo.

Oppure: senza aver l’ardire di spiegare Dio, che spieghi solo la pioggia o che ambisca a trovare i legami che uniscono cose e fenomeni, mostrandoli.

Una teoria che renda inutile chiamare le cose con il loro nome, che le renda innumerabili e infinite, divine insomma.

Significherebbe spiegare Dio o misurare il vento, dire “È grande così” e trovare anche la lingua per dirlo, una lingua che all’evocazione di quelle parole dia l’esatta idea di quanto grande è.

Non c’è una Teoria del Tutto o almeno non ancora. C’è il panteismo o la constatazione intima che esiste qualcosa dietro lo schermo della realtà che tiene legato tutto, e che questi legami poi puntano verso un centro.

Non che abbia bisogno per forza di definirmi spiritualmente ma ho compreso che essere positivista dice solo una parte del tutto. Essere panteista dice l’altra parte, il lato oscuro della Luna forse, comunque un’altra dimensione.

Qualcosa di metafisico che immagino come un’aria che galleggia poco sopra la testa di ognuno, un’altra dimensione in cui non c’è bisogno di dare nomi alle cose perché loro sono e basta.

A questa dimensione do il nome di “magica”. Forse è il pensiero magico di Joan Didion, chissà. Lessi “L’anno del pensiero magico” anni fa e mi piacque, forse più per il suo stile e l’eleganza che per quanto scriveva. Come tanti altri libri, non lo lessi al momento giusto ma ne colsi dei bagliori. Pensavo fornisse risposte e invece non raccontava o poneva solo domande. Liberarsi dalla necessità di avere risposte – pensavo – è una forma di indipendenza notevole.

Guardare un fiume che scorre e non chiedersi cosa significa, non chiedersi cosa significa proprio niente. Il pensiero magico – mi dico – è il superamento del senso, è la grammatica di un mondo metafisico in cui le cose sono governate da cause ed effetti irrazionali e incoerenti. Non si capisce e può solo essere osservato. Il pensiero magico è un fiume in cui galleggiare guardando il cielo mentre ci si fa portare dove vuole, senza il governo della volontà.

Il pensiero magico è un abbandono.

Dopo essermi definito pagano (intendendo però panteista) ho detto al mio amico “Sono giunto alla conclusione che morire non mi spaventa, va benissimo così, accada quando vuole”. Notevoli gli effetti di un paio di birre su uno che non beve più.

Lui mi ha risposto: ”Anche io. In ogni caso non ci posso fare niente, quindi sono sereno”.

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