Title

Nodo

Excerpt

Date

Nodo

Text

Ci sono parole che non senti per anni e poi senti in un ristretto spazio di tempo con insistenza maniacale. Una di queste è “pivot”. La prima volta che la sentii forse facevo le medie o il liceo e fu durante l’ora di educazione fisica perché il pivot è un tipo di giocatore della pallacanestro, è quello attorno a cui ruota l’azione. O qualcosa del genere. 

Io giocavo pochissimo, se potevo evitavo proprio quell’ora (che poi erano due) e fingevo infortuni improbabili appena si iniziava la partita, che fosse di calcetto o pallavolo. O pallacanestro, appunto. Insomma: mi infortunavo a mi sedevo fintamente dolorante sulla panchina per chiacchierare di fotografia con il professore. Grazie a Dio mi era capitato un professore appassionato di fotografia e allora parlavamo del sistema zonale di Ansel Adams o di camera oscura o delle tecniche di sviluppo e stampa. 

La parola pivot mi rimase in testa per due motivi: non ne capivo bene l’origine (francese? Inglese? Francese inglesizzato?) né il significato. Come tante parole straniere, pivot ha una traduzione illuminante in italiano: è il perno. Però chiamare perno un giocatore non suonava bene, almeno in italiano: in inglese evidentemente suona normale, nel senso che se l’azione ruota attorno a quello, allora quello è il perno. Non fa una piega. 

L’ho poi risentita negli ultimi anni, in un contesto completamente diverso: quello economico, delle aziende, companies o come le si vuole chiamare. L’economia mi ha sempre interessato, è una di quelle cose che ho sempre studiato in maniera amatoriale, senza mai frequentarla attivamente, almeno parlando di finanza. Insomma, mi trovavo a leggerne o ascoltare podcast che ne parlavano e ogni tanto veniva pronunciata quella stessa parola, in un ambito che, chiaramente, non prevedeva né palloni, né canestri. Perché la sentivo così spesso? Per un motivo semplice: perché “fare pivot” (pivoting, in inglese) significa cambiare strategia: qualcosa non funziona più e allora si cambia. 

Il pivoting, o fare pivot, ha una declinazione particolare, che deriva poi dal suo etimo: il soggetto che lo pratica resta se stesso e ruota. In altre parole, ciò che muta è la direzione in cui guarda e verso cui si dirige, non lui stesso. Del resto si tratta di un perno, no? Il perno può solo ruotare e guardare altrove, non può muoversi. 

Ci ho ripensato – i pensieri lunghi sono, appunto, quelli che ritornano sempre in superficie e vivono di vita autonoma – ascoltando Kevin Kelly. Uno dei fondatori di Wired nonché prolifico e brillante scrittore e futurologo, Kelly parlava di un evento nodale della sua vita: il Whole Earth Catalog. Raccontava che in gioventù aveva curiosità per qualsiasi cosa e poi un giorno trovò una risposta a (quasi) tutte le domande che si era posto, e le trovò in quel catalogo. Non è un caso che Jobs lo definisse il progenitore di Google, e in effetti si trattava di una specie di internet cartacea, perché conteneva tutto e aveva l’ambizione di descrivere la realtà attraverso centinaia di oggetti, che poi potevi pure comprare. 

Per alcuni insomma anticipò internet, mentre altri leggono come una coincidenza non tanto casuale che smise di essere pubblicato (in verità la sua continuità come pubblicazione cessò nel 1971) solo con l’ultima edizione antologica/celebrativa intitolata The Essential Whole Earth Catalog. Era il 1986. Non molti anni dopo internet cominciava a diffondersi e a non essere più appannaggio di accademici e militari. Il suo ruolo era esaurito e magari può sembrare un’interpretazione letteraria e agiografica, ma è lecito pensare che vi sia qualcosa di quella pubblicazione nel DNA di internet.

Il punto però è un altro, anzi sono due: Kelly lo considerava un punto nodale, si diceva, e inoltre la fondazione che nacque da The Whole Earth Catalog si chiama Point Foundation. Point, come punto. E un punto è la traccia che lascia sul terreno un perno, cioè un pivot. Il punto è dove passa l’asse attorno a cui ruota chi cambia direzione.

Che Kelly lo consideri un passaggio notevole della sua autobiografia mi ha fatto riflettere: mi sono chiesto se si tratti di un punto di svolta o se i punti di svolta (i pivot) siano dei momenti rivelatori, più che degli accumulatori di forze che cambiano esistenze. 

I punti nodali delle vite non cambiano le traiettorie esistenziali ma rivelano i percorsi e li illuminano. 

Innanzitutto: un punto nodale deve essere riconosciuto per essere tale, anche se ciò può avvenire a distanza di tempo. Kelly capì anni dopo che The Whole Earth Catalog parlava a una parte molto precisa della sua mente e che si trattava di qualcosa di più profondo di una semplice curiosità intellettuale. I punti nodali sono accumuli di significato, sono stratificazioni di eventi anche minimi ma significativi che indicano pause o cambi di direzione. 

La cosa che mi pare più interessante non è che questi esistano ma che non si tratti in realtà di accadimenti o dettagli significativi che rivelano più che imprimere svolte alle esistenze. Riconosciamo certi fatti (ripeto: anche a posteriori) e non li subiamo solo passivamente, non sono rocce su cui sbattiamo scendendo lungo il fiume della vita.

Allora i nodi – o i pivot, come si preferisce – non modificano le persone ma piuttosto le rivelano. Esattamente come la reazione a un fatto traumatico o significativo della vita manifesta la capacità o meno di reagire più che modificare la traiettoria esistenziale. Alla vita (intesa come insieme di cose che accadono indipendentemente dalla nostra volontà) si può reagire, essere indifferenti (che è una forma di reazione, a volte estremamente saggia) o esserne sopraffatti. In ogni caso la risposta che si offre dice cosa e come siamo, e quindi ci rende visibili e manifesti.

I punti nodali sono anche boe lungo il percorso della vita. Ci dirigiamo verso di loro o le schiviamo per evitare le secche. Riconoscerli è un buon esercizio e può fornire utili indicazioni. Non si è attratti solo da cose che sentiamo affini, anzi: mi sto sempre più convincendo che bisognerebbe prestare attenzione soprattutto a ciò che sentiamo come alieno, a cui non siamo naturalmente attratti. I contrasti e le negazioni sono più eloquenti delle affinità e la conversazione fra menti che la pensano allo stesso modo è una fra le più noiose. 

La divergenza obbliga a cambiare assetto, a stare scomodi e la scomodità spinge a cercare nuovi assetti e nuove condizioni in cui si sta comodi. Per cambiarle subito dopo. Del resto è un percorso e, in quanto viaggio, ha senso e sostanza solo se tutto attorno cambia. Sapendo che ci sono dei punti fermi lungo la strada, che dicono chi siamo e dove andiamo. Basta saperli vedere. 

Altri articoli

Insoddisfazione

Come potremmo evolverci se fossimo soddisfatti?

Influenza

Adam Smith ha scritto solo due libri, più di duecento anni fa. Sono bastati.

Liminale

Sono gli spazi residui, indifferenti, non abitati, di passaggio ma funzionali. Trascurabili magari, ma dotati invece di una increbile potenza immaginifica

EN