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L’influencer

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L’influencer

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Procedendo con ordine: un influencer è una personalità social con un certo seguito che si suppone possa influenzare le scelte consumistiche di chi lo segue. Può essere famoso a prescindere dalla sua presenza social (un attore, una cantante, un industriale) o esserlo solo nell’ambito social (Twitter, Facebook, Instagram, altre ed eventuali) ed è amatissimo dalle aziende che lo vedono come un veicolo del loro messaggio, aka un agevolatore delle loro vendite. Perché costa poco o nulla e ha apparentemente la capacità di influenzare le decisioni di acquisto di chi lo segue.

Quando si parla di influencer insomma ci si riferisce a un ambito che è quasi sempre puramente commerciale.

Cosa è diventato

Nella pratica comune, un influencer è tutto quanto detto sopra. Scrive di o si fotografa con questo o quel prodotto e ne parla in termini entusiastici. Di qualsiasi cosa si tratti, anche prodotti in concorrenza fra di loro. Il risultato straniante per chi lo segue e non è lobotomizzato è che sembra sempre di leggere uno in costante stato di alterazione orgasmico-lisergica per qualcosa. Tutto è bello, tutto è figo, devi avere questa cosa qui che mi fa stare così bene.
L’influencer in salsa italica non esprime opinioni che non siano meno che entusiastiche su un prodotto. Si ritrae col prodotto, lo usa (o finge di) ed è felice con quel prodotto.
Contento lui.
Il risultato è che l’influencer è sempre più uno che non ha opinioni proprie, o se le ha è meglio che non le dica perché potrebbe inimicarsi questa o quell’azienda.

Lo ammetto

Ammetto di esserlo stato a mia volta. A memoria (parliamo di anni fa) in un caso solo: per l’Arena di Verona. In un altro caso non se ne fece nulla, in un altro ancora rifiutai perché il compenso, diciamo, era davvero modesto.
Quella volta che per un giorno fui influencer (non sapendo nemmeno bene cosa fare) mi invitarono spesato a vedere la prova generale dell’Aida in Arena. Ci andai, mi offrirono la cena, vidi le prove, scrissi 2/3 tweet e feci delle foto. Mi chiesi cosa avrei potuto dirne e decisi che non avrei scritto quanto bello era quello che vedevo e come mi sentivo fortunato ecc. Per un semplice motivo: perché a me in primo luogo non me ne frega niente di come si sente uno/a che va a vedere l’Aida, figurarsi se posso pensare che gliene freghi a un altro. Scrissi delle notizie storiche e curiosità su Verdi, a memoria. Cose che pensavo potessero interessare. Ebbi un grandissimo impatto.
Non mi invitarono più.

Altri tempi

Allora forse davo l’impressione di avere chissà che seguito. Avevo un numero di persone che mi seguivano su Twitter che forse, per i tempi, era cospicuo. Ora non più, ora è un numero normalissimo ed è invariato da anni. Ma come allora non influenzavo nessuno, tanto meno penso che lo faccia chi ha seguiti oceanici oggi.
Al più mi fa sorridere o penso che si possa attirare un “Ma vedi sto stronzo che c’ha il nuovo [marca di cellulare]”.

Il problema

Alla fine il problema è quello della credibilità di quel che dici, dell’interesse che susciti e dell’indipendenza che riesci ad esprimere.

Credibilità
Se parli bene di qualunque cosa e — forse peggio — non esprimi alcuna opinione non hai in definitiva nessuna opinione, tutto per te è indifferentemente bellissimo, quindi tutto non vale niente.

Interesse
Se non prendi una posizione non puoi generare alcun interesse in chi ti legge. Sei una pubblicità umana, falsa o fuorviante come è una pubblicità qualsiasi.

Indipendenza
Se percepisci dei soldi per quel che fai, ammettilo senza problemi. Non è un male e iniziare a dirlo magari renderà i contenuti sponsorizzati un po’ più limpidi per chi ti legge che potrà meglio misurare le parole che usi.

Un esempio per me è John Gruber di Daring Fireball: un blog americano molto seguito di tecnologia che esprime opinioni, a volte anche molto decise. Ha anche contenuti sponsorizzati e come li tratta? Li dichiara, fine.
Gruber è autorevole ed è una personalità riconosciuta: è noto che ama Apple ma che ne è anche critico ed è altrettanto noto che esprime opinioni, molto precise.
Questo è il suo capitale: la credibilità.
È seguitissimo, ma credo che sia più fiero della credibilità che ha e non di quanti lo seguono.

Consigli per le aziende

Cara azienda, ecco alcuni consigli per scegliere bene l’influencer:

  1. Quanti lo seguono è molto poco indicativo.
    Può essere che sparando nel gran mucchio qualcosa pigli, non lo escludo. È più probabile che invece il tuo messaggio si diluisca e diventi insignificante. O che non c’entri nemmeno con il pubblico del tuo influencer. Che è probabilmente generalista, che lo segue perché c’ha una bella faccia o perché è famoso, magari.
  2. I numeri non contano molto
    Dovrebbe interessarti più a chi arriva il tuo messaggio piuttosto che al numero potenziale. Meglio vendere il tuo prodotto a un pubblico ristretto che sai esserne interessato piuttosto che ad un pubblico oceanico che non lo è per niente, no?
  3. Se ne trovi uno bravo, pagalo
    Gli influencer costano pochissimo e hanno tanti follower. Tu azienda la vedi in termini economici: raggiungere così tante persone con la pubblicità (giornali, televisione, radio) ti costerebbe tanto. L’influencer non costa praticamente niente! I più vecchi e bravi si fan pagare e spero per loro pure bene, ma la pletora di nuovi vien via per un prodotto in omaggio o una notte in hotel con colazione.
  4. Se ci tieni a quello che vendi devi tenerci al venditore
    Sceglilo perché condividi come veicola il tuo messaggio, perché ti sembra leale nei confronti del tuo prodotto e anche perché — ma dubito che lo farai mai — è capace di essere critico nei confronti del tuo prodotto. Le critiche aiutano, eccome.
    Cerca i servizi di chi rispetta la propria opinione, non di chi la cambia a seconda del cliente o non ne ha alcuna.
  5. Trova un modo migliore per chiamarlo
    “Influencer” è una parola orrenda.
    Chiamalo come vuoi ma ti prego inventati un altro nome.
    A me non ne viene in mente nessuno, forse perché solo a sentir parlare di influencer metto mano al revolver.

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