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Il memoriale della Shoah di Bologna

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Il memoriale della Shoah di Bologna

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Uscendo su via De’ Carracci dalla situazionista stazione dei treni di Bologna, il viandante può tenersi a mano destra fino a incontrare all’incrocio con via Matteotti una piazza su cui sorgono due parallelepipedi in acciaio corten lievemente scostati fra di loro. Li può intravvedere sbucare ogni tanto già al di sotto della pensilina della stazione, così come non può che trovare una certa similitudine fra la loro forma e quella della foresta di macchine e impianti e unità frigorifere e pompe che fan respirare la stazione dell’Alta Velocità che sta al di sotto. Il memoriale della Shoah progettato dallo studio Set Architects e inaugurato lo scorso gennaio è un oggetto silenzioso sistemato su un vassoio di pietra in un angolo molto trafficato di Bologna. Vedendolo non si può non pensare che sia un libro appena aperto, anche se è formato da celle accatastate l’una sull’altra. Entrandovi sembra di procedere lungo due pareti di loculi in un cimitero. Ma loculi senza lapide e vuoti. Queste le suggestioni che se ne ha. Che fan pensare ad altre cose: che il libro è la memoria e che la memoria è una catasta di tombe vuote. Ma anche che quei due oggetti che si allontanano appena per far entrare una persona alla volta dovrebbero avere una sorta di musicalità. Passarci attraverso dovrebbe essere un’esperienza fatta di musicalità o di silenzio, che è un’altra musicalità. Peccato per il rumore assordante a pochi metri di distanza. E poi c’è un’altra cosa: che quel pertugio è un imbuto, invita ad entrarci e a sostare, sperando magari di trovare una requie acustica (disillusa). E se ci si ferma lì in mezzo si guarda dove punta la direzione e si scopre che guarda la stazione storica di Bologna, altro luogo della memoria (e che luogo della memoria). Ma la si può solo intravedere, perché la lamiera stirata che evita che qualcuno si getti sulla valle di impianti della stazione dell’Alta Velocità è troppo alta. Ah, le norme di sicurezza (e le orrende e inconcluse coperture della travagliata stazione). 

 

Almeno hanno avuto la cura di farli tutti bianchi quegli impianti, così sembrano un’installazione di Kazuyo Sejima. Resta il fatto che per la città di Bologna la stazione dell’Alta Velocità è dimensionalmente una pensilina da autobus con alle spalle una piazza abitata da parallelepipedi e cilindri bianchi. Ma forse è avanguardia.

 

Si può eventualmente guardare il cielo da là sotto, oppure osservare questi due oggetti gemelli da un altro punto di vista. Un monumento che non è fatto solo per essere osservato, come si è abituati a fare vedendoli là sopra basi o plinti o cubi di marmo inscalabili, ma per far vedere, invitando il viandante a penetrare il suo corpo. Ma non facendogli poi vedere qualcosa di particolare, o solo qualcosa ma oltre una barriera visiva.
Quindi al viandante non resterà che tornare a prendere il proprio treno. Sottoterra.

 

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