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Essere moderni nel 1950

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Essere moderni nel 1950

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Quando cammini per le strette vie di quella parte di Milano a ovest di Corso Italia proprio sotto Piazza Missori ti capita ad un certo punto di sbucare fuori di fronte a via Rugabella. Lungo quella e a sud di quella sorge uno degli edifici più arditi, moderni, ottimisti e sfacciati di tutta Milano, Italia e forse dell’Europa intera.

Lo progettò il romano Luigi Moretti nel ’49 e terminò di costruirlo nel 1955. 60 anni fa.
La sua complessità volumetrica e la sua protervia compositiva fanno tutt’ora impallidire le più bizzarre e grandi costruzioni della Nuova Milano sorte a sud di Porta Garibaldi o attorno alla Regione Lombardia, che sembrano ostentazioni di potere economico ma non di un conseguente controllo compositivo. Esistono perché esprimono una capacità economica e una qualche volontà di essere moderni o almeno aggiornati, ma più perché bisogna esserlo che per intima convinzione.

Moretti invece era talmente contemporaneo da riuscire a immaginare una gigantesca lama che incombe su Corso Italia e che si appoggia sul volume sottostante scavalcandolo. Un volume che ha un prospetto nord quasi completamente cieco e quindi quasi più minaccioso e incombente, eppure scultoreo e proporzionato, pur non rapportandosi praticamente a nessun allineamento con l’esistente. Esistente che è più corretto definire “sopravvissuto”, dato che questo complesso — che in realtà è la somma di 5 edifici diversi — nasce su di un’area completamente distrutta dai bombardamenti.

Immaginare una nuova Italia

La nuova Italia che immaginò Moretti non assomigliava a quasi niente fino a quegli anni progettato. Proveniva invece dalla capacità che lui aveva sviluppato di controllare la composizione anche nelle sue espressioni più estreme e anche in contesti storicamente molto sensibili come questo. Eppure se lo si traguarda lungo Corso Italia, il complesso 13–17 non appare immediatamente. Solo uscendo dal tessuto storico più fitto ad ovest si osserva stupiti e straniati questa astronave atterrata chissà quando, chissà come. La gigantesca lama infatti è arretrata rispetto al filo di Corso Italia e solo avvicinandosi la si vede sempre più delinearsi nel suo fianco nord spezzato e tormentato. Quando ci si è sotto si vede solo quella, in qualche modo in rapporto con il resto ma non di certo per qualche allineamento di altezza o fronti edilizi, quanto piuttosto perché impone una presenza che attira ogni sguardo, come un misterioso oggetto che sta insieme ad altri più vecchi e vagamente familiari. E che ci attira, 60 anni dopo essere stato immaginato. Ma ancora modernissimo, oggi e per il prossimi 60 anni.

PS: è evidente che attaccare il cartello “affittasi” proprio lì significa non aver capito niente di questo edificio e farlo male. Molto male.

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