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Droga

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Droga è morte

O almeno questo è quello che siamo stati abituati a pensare riguardo alle droghe. Perché la società occidentale ha un curioso modo di affrontare certi problemi: li ammanta di paura e poi li vieta per legge.
Un libro con un titolo che normalmente mi avrebbe respinto (perché appare furbo) mi ha invece attratto, curiosamente. Neanche tanto curiosamente, perché conoscevo il suo autore e la sua serietà. Di lui lessi anni fa un paio di libri che riguardavano l’alimentazione e poi è edito da Adelphi, quindi.
Il libro in questione è “Come cambiare la tua mente”, di Michael Pollan e il titolo fa credere si tratti di un manuale di auto-aiuto o di life-hacking o come diavolo si chiama ora, pur non trattandosi affatto di questo.
In verità parla di come alcune droghe – in particolare LSD, psilocibina, MDMA/exstasy, peyote/mescalina – vivano da alcuni anni un rinascimento. Non si tratta però di una loro riscoperta dal punto di vista ricreativo (che, scommetto, non hanno mai perso) ma terapeutico. Chiamarle “droghe” può essere pure fuorviante, perché si tratta di sostanze psicotrope capaci di provocare stati di alterazione in chi le assume.
Come dicevo, la morte è la parola più comunemente associata alle droghe e lo è da decenni, cioè da quanto negli USA e poi in tutto l’Occidente si decise di muoversi con intenso bellicismo verso alcune sostanze. Nell’omologo documentario su Netflix, non ricordo chi riassume efficacemente dicendo “Si decise di trattare come cattive le droghe buone e come buone quelle cattive”, riferendosi implicitamente agli anti-infiammatori e agli antidepressivi, consumati in maniera sempre più fuori controllo negli ultimi decenni. In verità l’efficacia terapeutica di queste sostanze era già nota e la loro sperimentazione fu interrotta per motivi puramente politici.
Da circa una ventina d’anni si è lentamente ripreso a usarle nella cura di malattie mentali (soprattutto schizofrenia, disturbi ossessivo-compulsivi, depressione ecc.) e nella terapia di pazienti oncologici. Non si tratta di terapia del dolore e il loro scopo non è quello di lenire le sofferenze, quanto quello di cambiare, appunto, la mente di chi vi è affetto. L’effetto dell’LSD e di altri allucinogeni è quello di disgregare l’Io e di riconnettere l’individuo al creato e alla natura, cambiando la percezione della paura generata da stati alterati della coscienza indotti dalla malattia (e non dalle sostanze) in modo da indurre all’accettazione della fine terrena o modificando la percezione della malattia mentale. I risultati – in alcuni casi anche con singole somministrazioni – sono a dir poco incoraggianti e spesso risolutivi.
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Nella narrazione dei trip ho colto molte affinità con le visualizzazioni (non visioni) che incorrono durante la meditazione. Specie in rapporto agli effetti caleidoscopici e ipercromatici dell’LSD, ho notato somiglianze con quanto può accadere nella meditazione che, non essendo coadiuvata dall’assunzione di sostanze – è una specie di viaggio lisergico in bianco e nero, o almeno così mi è parsa, specie non potendo confrontare le due esperienze ma conoscendone solo una.
Uno dei meriti di questo libro e del documentario è quello non tanto di cambiare la percezione che abbiamo della realtà ma soprattutto quella che abbiamo di alcune sostanze: la parte di mente che subisce il cambiamento non è quella che sperimenta chi le assume ma la nostra, che incomincia quantomeno a chiedersi se quello che ha sempre saputo al riguardo (o che le han fatto credere) non sia affatto la verità. Come sempre, coltivare il dubbio e una sana diffidenza verso l’autorità (che è mossa quasi sempre dalla necessità di conservare il potere) sono una buona abitudine.

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