Non mi ero ripromesso di tenere alcun diario di questa quarantena quindi non mi sono nemmeno dato un motivo per deludermi. Ne avrei scritto quando avessi maturato dei pensieri, quando il cervello fosse inciampato in qualcosa di più grande e rotondo e ingombrante del normale flusso. Quando un ingorgo mentale avesse segnalato che lì stava succedendo qualcosa.
Non mi sono deluso insomma, non mi sono tradito. Il problema è che il tempo è un po’ tutto uguale e il metodo non aiuta a creare elementi divergenti e sorprese: non uscire di casa, ridurre al minimo qualsiasi interazione sociale (eccezion fatta per i familiari) azzera la possibilità che si formino accidenti e incidenti. Non succede niente o succede la stessa sequenza di cose del giorno prima e di domani, presumibilmente.
Mi alzo, faccio colazione, lavoro, scrivo, mangio, qualche mail, ascolto musica no non ne ho voglia, dovrei ascoltare un podcast, non ne ho voglia, c’è troppa roba da scegliere, non scelgo niente.
Per farci digerire questa quarantena forzata, all’inizio ci dicevano tutte le cose magnifiche che avremmo potuto fare, come fossimo stati dei passeggeri della più grande nave da crociera della storia: il cinema, la musica, le mostre virtuali. Dopo qualche giorno avevo già capito che questa bulimia culturale non la volevo, non la sapevo nemmeno gestire. L’eccesso di offerta non ti fa intravedere una fine: quanti film dovrò vedere per sentirmi un cittadino che ha messo a frutto questo periodo di asocialità imposta? Quanti libri, quanti musei (virtuali)? Non ho voglia, non partecipo a questo gioco. Sono in crociera ma sto sul ponte, guardo la linea d’orizzonte, mi piace quando alla sera il mare diventa del colore del cielo e si confondono.
Alla fine al mattino mi sveglio aspettando che arrivi sera. Non sono né depresso, né mutevole di umore. Ho questa nuova routine: la parte più interessante della giornata è alla sera. Prima di cena faccio ginnastica, mangio e poi leggo o scrivo. E poi dopo la mezzanotte guardo una serie TV mentre disegno. Disegni astratti o figurativi, secondo un sistema che si impone la mia mente: decide casualmente cosa fare, l’importante è farlo. E poi sogno, quindi andare a letto è interessante perché l’ansia che comunque si percepisce, è costante, è opprimente e deve sfogare da qualche parte e allora sbuca fuori nei sogni.
Il virus non si è visto nei sogni, non è apparso o forse sì, ma i sogni sono metaforici, non ti appare mai esattamente quella persona, magari sogni tuo padre ma la mente intende un’altra persona, insomma non è facile. Voglio dire che potrei aver sognato il virus ma non averlo riconosciuto. Non importa. Importa che faccio sogni molto vividi e complessi e poi mi ritornano in mente a tratti e inaspettatamente il giorno dopo, magari verso sera o dopo cena. Immagini sognate che ritornano a fare visita.
Quindi sono curioso di addormentarmi per scoprire cosa sognerò questa notte. È quello il film che guardo ogni giorno: il mio sogno, non quello che c’è in TV.