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Sentivo un’intervista a Rick Rubin. Ha scritto un libro sulla creatività e lo si sente un po’ ovunque in giro, ovunque per chi ascolta podcast americani almeno. A un certo punto parla di qualcosa e dice “Ognuno deve essere libero di esprimersi come vuole e con i mezzi che vuole. Io ho cominciato perché mi piaceva qualcosa e non c’era e allora l’ho fatta”. Mi sono chiesto come disegnerei un cane, ma non un cane qualsiasi: l’essenza del cane. 

Un certo mio modo di disegnare – che complessivamente non definirei improntato a una raffinata tecnica (sono davvero basico) – mira a cogliere l’essenziale del soggetto, o almeno quello che io ritengo essere tale. Il cervello umano ragiona per astrazioni e anche una foto di noi stessi la scambiamo per noi stessi perché ci riconosciamo ma in realtà si tratta di un’astrazione che il cervello riconosce come il nostro volto. 

Per questo credo che disegnando a modo mio, più che raffigurare qualcosa di riconoscibile, dico come io vedo quel qualcosa. In questo senso il disegno – anche in quanto linguaggio più elementare e non filtrato – rivela molto più di noi. Col disegno non si dice come si rappresenta qualcosa ma come lo si sente/vede/astrae. A ben vedere ci si espone ancora di più: quello che si vede in un disegno – a ben vedere – è l’interno della mente di chi l’ha fatto.

Ma dovevo parlare di cani.

Non ne ho mai avuti, almeno sino a un paio di anni fa. Non ne avevo mai desiderati e in genere con gli animali domestici ho sempre avuto un rapporto onesto riassumibile in una distaccata cortesia intrisa di indifferenza: non mi hanno mai dato né fastidio né particolare gioia. Ci siamo sempre ignorati.

Poi è arrivato Oliver. 

Questa non è la prima volta che ne scrivo e cercherò di non ripetermi, anche perché ne vorrei parlare da un altro punto di vista, che interesserà solo chi ha cani e li ama. Chi non ne ha o ne è indifferente non sa cosa si perde a smettere di leggere ora. 

I cani sono animali filosofici. 

Ovviamente non sanno d’esserlo perché non sanno nemmeno cosa sia la filosofia, ciò nonostante mi son convinto che sia la descrizione che meglio vi si adatta. Come si potrebbe altrimenti definire un animale che – se non dorme o è a spasso ad annusare tracce di urina di altri cani – osserva le fronde degli alberi e ti guarda e poi posa lo sguardo su un indefinito punto all’orizzonte? 

Non è possibile che un cane non pensi, e non temo di antropizzarlo troppo dicendolo. Il problema è cosa pensa. O, meglio ancora: il problema non è cosa pensa ma cosa elabora nella mente quando sembra pensare.

Ho sentito che i cani sono ottimi ascoltatori, oppure ottimi interpreti del ruolo di chi ascolta. Sembrano infatti dipendere da noi specie in quello che gli diciamo. Forse vogliono attenzioni e questo ce li fa riconoscere come nostri simili. Una cosa ci differenzia però da loro, ed è fondamentale: non parlano.

Chi ama parlare non si scoraggia nel farlo anche davanti a un cane (il che potrebbe suggerire qualcosa in merito all’interesse che li anima: parlano per dialogare o per parlare e sentirsi parlare? Ma questo è un altro discorso). Siccome non parlano allora assumiamo che siano buoni ascoltatori. 

Ora inizio a capire di più perché li amiamo: perché ci danno l’impressione (o lo fanno, realmente) di capire con più profondità la nostra natura. 

Chi ama parlare non lo fa per il gusto di farlo ma perché, soprattutto, ama pensare di essere ascoltato. E i cani sono bravissimi a farlo: ti ascoltano, guardandoti con occhi espressivi al punto da comunicare che sì, ti capiscono perfettamente.

In questo assolvono a un compito che gli umani spesso trascurano: ascoltare quello che dicono altri umani. E la verità è che, facendolo – consciamente o meno – ci fanno venire il dubbio di non essere generalmente ascoltati, o almeno non con la cura con cui loro sanno farlo.

I cani insomma ci rivelano per contrasto di cosa siamo fatti, come siamo fatti e cosa vogliamo: vogliamo essere ascoltati. Non che tutto si riduca a quello ma insomma, diciamo che è un desiderio comprensibile e ragionevole. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci ascolti, per parafrasare i Blues Brothers.

Illudendoci di ascoltarci ci fanno capire quanto bisogno abbiamo di essere ascoltati, rivelandoci quindi una cosa che non sospettavamo: pensavamo che fosse importante dire le cose (dire quello che abbiamo dentro, cioè come ci sentiamo) e invece vogliamo solo essere ascoltati.

E in questo sono filosofici: non nell’atteggiarsi a filosofi ma nel portarci a porci alcune domande fondamentali, tipo, appunto, cosa conta davvero? Parlare o essere ascoltati? 

Ed è una sola domanda delle tante che ti pongono. Molto spesso si tratta di quesiti apparentemente semplici ma non per questo non profondi. Ne ho fatto una piccola lista: 

  • Conta davvero darsi così da fare, essere sempre impegnati? Guarda quel nido di uccelli.
  • Cosa vuoi davvero? Io ho fame.
  • Dovresti dormire di più? Eccome se dovresti.
  • Non confonderai l’esperienza con il peso della memoria? Non ripensare più a qualcosa che ti è accaduto tempo fa, c’è una bellissima giornata e voglio andare a correre.
  • Hai fame? Ho fame.

I cani ti pongono di fronte alle domande fondamentali che sono spesso granitiche nella loro semplicità: c’è da mangiare? Sei riposato? Quali sono le tue priorità? 

Oddio, non credo che un cane si ponga il problema delle priorità, anche perché ne ha pochissime: mangiare, dormire, andare di corpo. Un sistema operativo basilare eppure non per questo semplice o povero, anzi.

Forse i cani non sono animali filosofici – o almeno non hanno la consapevolezza di esserlo – ma ci portano a essere più filosofici. 

E torniamo all’inizio, cioè da dove eravamo partiti: a come disegnerei un cane, a come “lo direi”. Questa è la domanda fondamentale o l’approdo a cui l’osservazione di un cane mi porta. 

È importante come lo disegnerei (cioè cosa è per me un cane e come è fatto, per poterlo rappresentare e dire) perché facendolo direi come lo vedo e quindi come sono fatto. Mi rivelerei, in altre parole. Dandomi una risposta sul come e di cosa sono fatto e rivelandola al mondo, ma prima di tutto a me stesso. 

Ciò che viene detto si trasforma in uno specchio in cui possiamo vederci riflessi, ciò che non viene espresso invece rimane dentro la testa, non rivelando niente o restando un groviglio di congetture. Ecco a cosa serve un cane o perché ci è così caro: è un essere su cui ci proiettiamo e ci vediamo. Un cane ci rivela, riflettendoci.

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