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Voci

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Voci

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Non ricordo il momento preciso in cui ho iniziato a parlare con la mia voce interiore. Devo essere stato abbastanza piccolo perché all’inizio pensavo fosse un angelo, il mio angelo personale. Il fatto che fosse un angelo era chiaramente una conseguenza della mia frequentazione di una scuola cattolica, quindi collocherei la sua metamorfosi da angelo in “voce interna standard” verso le scuole medie. Erano anni di rifiuto della religione e di presa di coscienza del male che governa il mondo, celato sotto le spoglie di una scuola media un po’ brutale. Ma non è di questo che voglio parlare. 

Voci, si diceva. Le voci implicano la condizione esistenziale di un dialogo. Che siano voci di persone distinte o voci che stanno nella testa, sempre di dialogo si tratta e io con lei (la voce) ci parlavo. Le spiegavo come avrei fatto quella cosa e come avrei risolto quell’altra. A volte, quando ero certo che nessuno mi vedesse, le parlavo a voce alta, o meglio “a voce”, cioè in forma udibile, almeno da me. 

Non so se psicologicamente parlando questo atteggiamento lambisca qualche patologia ma non l’ho mai considerato niente di preoccupante: per chiarirmi qualche idea, semplicemente, dovevo dirla ad alta voce, o almeno dirmela in testa. E funzionava.

Tutto ciò, inutile specificarlo (ma lo farò ugualmente) è la conseguenza dello straordinario potere della parola. 

La parola crea la realtà e per immaginare e costruire un futuro possibile abbiamo bisogno delle parole. 

Oggi si direbbe che questo processo serve a costruire una narrazione (una volta c’era lo storytelling, ora c’è la narrazione). La narrazione è la storia che ci raccontiamo, o è anche quella. Per quanto contenga abbondanti dosi di fantasia, il fatto di esistere nel presente (quando la inventiamo) le riserva qualche probabilità di diventare reale nel futuro.

Si dice che l’essere umano pensi almeno in due modalità: per immagini o per parole. Alcuni anche per numeri, ma quelli sono molto più rari e decisamente più intelligenti della media (e soprattutto di me). 

Io appartengo più frequentemente alla prima categoria, forse perché ho una mente più visiva che discorsiva. Le proiezioni di futuro che si formano nella mia testa sono film veri e propri, con tanto di dialoghi. Non che sia una cosa inconsueta, dato che l’alternare pensiero visivo e logico (nel senso di logos, parola) è comune: quello visivo è costruito con frammenti di immagini e memorie passate ma ricombinate, mentre quello logico attinge a un livello intellettuale più profondo o quantomeno più difficilmente raggiungibile, dato che si deve fondare sull’organizzazione delle parole in funzione dell’espressione del pensiero. È quindi il risultato di un passaggio logico ulteriore: il concetto deve essere a tal punto formato e chiaro nella testa da poterlo dire a parole, per comunicarlo.

Quel che trova conferma è che noi ci raccontiamo incessantemente storie. Credo sia motivato dalla natura stessa della nostra vita, che ha lo svolgimento di una storia, avendo un inizio, uno svolgimento e una fine. Le storie sono evocative e creano immagini nella mente. Il processo mentale in questo caso è inconscio: quando si parla non ci si rende conto di produrre parallelamente le immagini di ciò che si sta dicendo ma è così, al punto tale che le parole sono un commento alle immagini mentali, o almeno le precedono, formandole. 

Non so dire se vengano prima le parole o le immagini, quindi le parole possono essere generatrici delle immagini o commento delle stesse ma mi è venuto in mente un esperimento che da tempo vorrei fare, e che in un certo senso mi è stato ispirato dall’intelligenza artificiale, quando le ho chiesto di dirmi cosa voleva che le disegnassi, invece di fare il contrario. 

L’idea è quella che io chiamo “dei quadri telefonati”. Invece di vedere un quadro, se ne ascolta la descrizione e poi la si disegna, o dipinge. È chiaro che, per quanto precisa sia la descrizione, il risultato finale non coinciderà mai con l’originale ma è proprio lo scarto che trovo interessante. In quella differenza vedo il divario che c’è fra il racconto e la realtà, fra la possibilità delle parole di descrivere con precisione e la chiarezza incontestabile delle immagini. 

Le parole evocano, le immagini dicono.

Che, a ben pensarci, è anche una curiosa inversione di significato: le parole dovrebbero dire oltre che evocare, e invece sono le immagini a raccontare con più precisione. 

Quello che se ne evince, in definitiva, è che il pensiero è costruito da entrambe e che non potremmo pensare parole senza associarle a immagini, mentre forse potremmo pensare immagini senza descriverle a parole, quantomeno nella nostra mente.

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