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Preludio e fuga

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Preludio e fuga

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Quasi due anni fa presi la decisione di iniziare a meditare. In realtà dovrei ascrivere questa decisione al caso più che alla volontà. Intendo che non mi imposi di farlo, anche perché la meditazione non ama imporsi e non ama che la si imponga. Quindi dovrei dire che vi arrivai casualmente, dopo aver letto In acque profonde di David Lynch, Yoga di Emmanuel Carrère e Il silenzio è cosa viva di Chandra Candiani. Li lessi esattamente in questo ordine e cioè: Lynch prima di meditare per la prima volta, Carrère mentre avevo iniziato a farlo e la Candiani dopo qualche tempo. Anche questa successione non è casuale perché il primo è un’introduzione, il secondo lo si capisce quando si ha una vaga idea di cosa significhi meditare e il terzo (quello con più valore letterario e più profondità fra i tre) si comprende meglio quando si ha fatto un po’ di esperienza. 

Che poi, parlare di esperienza riguardo alla meditazione fa sorridere. C’è chi la pratica da decenni e non crede di averla ancora afferrata. Di certo vi è che richiede, appunto, una pratica costante e una certa leggera testardaggine. Anche senza il “leggera”. 

Eppure a chi mi chiede di cosa si tratta, se è difficile, se ci vuole una particolare predisposizione, rispondo che non sono di certo un esperto ma che una cosa la posso dire: non è la via del Nirvana, non è niente di new age, non illumina, non ti sconvolge, non ti stravolge. Per indurre i più positivisti (fra i quali mi conto) a provarla dico che è una cosa in realtà molto fisica. Perché lo è: è basata sulla respirazione e sull’attimo presente, e cioè sulla percezione del nostro corpo (di noi stessi) all’interno del flusso del tempo, nell’attimo presente. C’è qualcosa di più fisico?

Dopo quasi due anni, dicevo, posso annoverarla fra una delle decisioni – per quanto involontaria o spontanea – migliori che abbia mai preso. La meditazione mi ha cambiato la vita. Non stravolgendola, non radicalmente, non improvvisamente ma di certo ha modificato la mia traiettoria esistenziale come pochissime altre cose hanno fatto. Un lutto ti può cambiare, un amore pure, ma son cose che subisci o che ti arrivano, non che cerchi. E, almeno a un certo punto, la meditazione l’ho cercata, o quantomeno l’ho provata. 

Perché dico che mi ha cambiato? Perché me ne accorgo da diverse cose, anche se non si sono manifestate improvvisamente (gli effetti della meditazione si rivelano lentamente perché lei compie il lento lavorio della goccia d’acqua: non scava improvvisamente una pietra ma, poco alla volta, la scava ancora più a fondo). 

Me ne accorgo, dicevo: 

  • nell’equilibrio psicologico
  • nella memoria
  • nella capacità di focalizzarmi con più profondità
  • nella scelta delle priorità
  • nell’umore
  • nella risposta alle sollecitazioni
  • nell’accettare senza giudizio
  • nella capacità di essere equidistanti
  • nella visione degli obiettivi davvero centrali
  • nel riuscire ignorare gran parte del rumore di fondo

Meditando non ho trovato il Nirvana o scoperto chissà cosa. Non mi ha cambiato, non mi ha sconvolto. Semmai mi ha levigato, raffinato, purificato.

Dopo un po’ di tempo e osservando quanto la mia reazione a certe situazioni che un tempo mi avrebbero alterato o preoccupato fosse più razionale e misurata, mi sono chiesto se non mi stesse rendendo un po’ insensibile o troppo distaccato.

Invece meditare non narcotizza rispetto ai dolori o alle gioie, non rende insensibili. Ti fa sentire tutto ma ti dà la capacità di vedere allo stesso tempo tutto in una prospettiva diversa. Non ti rende paziente se sei caratterialmente irascibile ma ti aiuta a controllare la collera. Non ti rende euforico se sei malinconico. Non annienta l’ansia ma la depotenzia. In un certo senso è come se cambiasse le coordinate esistenziali o fornisse un sistema di misura diverso, più consapevole di diversi elementi e più preciso. 

Il paradosso è che, pur radicandosi nell’attimo presente, cambia il rapporto con il tempo, sia passato che futuro. Non li nega: li mette solo in prospettiva. Le ansie sono anticipazioni di un futuro incognito e quindi non possono angosciare adesso e ora, la nostalgia è una stanza della memoria da frequentare quando se ne ha voglia, ma non è una realtà parallela.

La meditazione non è un sistema di pensiero che ti spiega come affrontare questo o quello: concentrandosi sull’attimo ti rende “solo” più presente e consapevole.

Non è magia. Io la vedo più come un viaggio verso il noi stessi che abbiamo perso di vista un giorno, chi lo sa quando.

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