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A occhi chiusi

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A occhi chiusi

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Una cosa che ho fatto ultimamente – e che potrei catalogare wallacianamente come “Divertente ma che non farò mai più” è fare ritratti. In particolare di un architetto, amico prima di tutto, ma a cui servivano per lavoro. Per rappresentarsi, insomma. In verità non è neanche vero che non lo farò mai più perché mi ha molto divertito farli e farglieli, pur non essendo io un fotografo particolarmente capace in questo ambito. Forse è meglio dire che non ne ho mai fatti molti, quindi – fra tutti di generi i fotografia – questo non è quello che ho praticato di più, anzi.

Invece mi è piaciuto.

La cosa che ho trovato più curiosa è invece che fra tutti lui ne ha scelto uno in particolare: quello a occhi chiusi. “Scelto” non come immagine professionale ma – cosa ancor più significativa – come ritratto intimo, che cioè meglio lo rappresenta, in cui si riconosce.

Capitò anche a me anni fa di scegliere fra alcune foto che mi aveva fatto un altro amico fotografo proprio una con gli occhi chiusi. Sorridevo ed ero chiaramente vigile, eppure avevo gli occhi chiusi.

La nostra faccia è una delle cose che ci sono paradossalmente più sconosciute: la vediamo allo specchio ma non la possiamo osservare con la continuità con cui osserviamo le nostre mani. Dei tratti del nostro volto abbiamo un ricordo più che un’immagine, ed è pure fallace perché lo specchio ne restituisce una che è poco fedele, otticamente distorta. Il nostro volto specchiato non è davvero il nostro volto.

Curiosamente poi, quando dobbiamo scegliere un nostro ritratto fotografico, riconosciamo in quello a occhi chiusi quello che ci rappresenta di più, forse per il fatto che davvero rappresenta il rapporto che abbiamo con le nostre sembianze: non le vediamo e quindi quello è il loro ritratto più realistico.

È insomma come se sapessimo di non vederci davvero, e sapessimo altrettanto che quando non ci vediamo, ci vediamo davvero.

*

C’è un altro aspetto della questione: quando non vediamo perché teniamo gli occhi chiusi, in realtà vediamo. L’interpretazione della realtà (non la realtà) è più precisa nel sogno. Quando sogniamo teniamo gli occhi chiusi ed è in quel momento che la mente crea interpretazioni della vita e del vissuto più genuine e meno influenzate dallo scorrere della vita. Automatiche e non mediate dalla razionalità. Sono letture in purezza, anche se ovviamente metaforiche.

La foto a occhi chiusi è insomma la foto del sogno, e quindi della realtà pura. In quella ci riconosciamo perché non ci vediamo per come sembriamo ma per come siamo.

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