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Recensire Fabio Volo

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Recensire Fabio Volo

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L’idea di Giuseppe era semplice e geniale: spedire un libro di Fabio Volo ad alcune persone e farglielo recensire.
Unica condizione: se non gli piace dopo averlo letto non possono dire “Fa cagare”, devono motivare.

A me spedì Un Posto Nel Mondo, pubblicato nel 2006. Ecco come lo recensii.

Recensione breve

È scritto in italiano corretto.

Recensione lunga

Direi che nessuno come Max Pezzali ha saputo raccontare con le sue canzoni le annoiate domeniche al bar o i palpiti dei primi innamoramenti. Onore al merito. Le ha raccontate con le parole che avresti usato tu, forse meglio di te. Ti ci riconosci e le condividi. Ha continuato a farlo per decenni ed è anche un ragazzo simpatico, quindi ok. Solo che non sei più adolescente da qualche anno e nel frattempo hai letto qualche libro e ti sei evoluto. Lui è rimasto tale e quale e forse è il suo forte. Max Pezzali mi sta simpatico.

Volo è il Max Pezzali della letteratura. O il Paulo Coelho, se mai l’avessi letto. Credo sia un po’ come lui: un certo mestiere nello scegliere le parole più semplici per dare un ordine ai tuoi pensieri e farti pensare che sì, in fondo è così, quella cosa l’avrei detta così. Volo ti parla di cose e situazioni che già conosci con un tono che già conosci. È come stare una sera a bere una birra con un tuo amico: piacevole, ma una sera vale un’altra e te ne torni a casa immutato. Almeno una birra ha il piacevole risvolto dello stordimento alcolico. Ma se leggi devi essere lucido e quindi manco quella. Insomma: devo leggere delle cose che già solo a sentirle raccontare mi annoierei?

Volo racconta la stessa storia che hai sentito mille volte e manco da un punto di vista inedito. È come un amico simpatico che non vedevi da anni: è sempre simpatico ma il problema è che è sempre lo stesso e parlarci ti dà questa spiacevole sensazione: che il tempo non sia passato, o se è passato è passato invano e tanto valeva congelare quella birra di 5 anni fa identica a quella di adesso. Altrettanto poco saporosa quindi, come la sua prosa.

Volo scrive libri e con l’ottica letteraria deve essere interpretato. Ecco, non riesco ad associare la letteratura a Volo. Non scrive male, scrive anzi con proprietà e in maniera corretta. È semplice, diretto. Prevedibile. Terribilmente prevedibile. Noioso, alla fine. Forse sarò io, che mi aspetto che un libro mi sveli dettagli che non ho mai visto, che mi solleciti e mi metta a disagio. Un disagio che mi sposta dal mio asse e mi offre una prospettiva diversa e inedita. Con Volo questo non succede mai.

Si dice che forza del racconto sia di farti vivere vite che non hai mai vissuto e che forse mai vivrai. In questo modo espande la tua vita, anche se solo in maniera illusoria, ma lasciando dei semi che magari germoglieranno. Le vite che racconta Volo sono vite che hai vissuto o che ben conosci: vite di gente moderatamente insoddisfatta ma che si perde in maniera controllata per poi ritrovarsi, per inserirsi disciplinatamente e con l’illusione di essere i capi rivoluzione della propria stessa rivoluzione, ben inseriti nella società. Volo è rassicurante.

Ho fatto questo gioco: prendere i titoli dei suoi libri e associarli a un prodotto di consumo. Funziona.

“Terme di Pernumia — Il tempo che vorresti e che puoi avere”

“Tariffa 48h: il giorno in più”

“Biscotto Paciocchino: la prima luce del mattino”

Per usarne solo alcuni.

Con Guerra e Pace la cosa riesce meno bene. Oppure con “Underworld” o con “La ragazza dello Sputnik”. O “DoggyNuts: La leggenda del cane ucciso a mezzanotte — Il vostro cane li adorerà”. Vedi? Non funziona.

E questo non per dire che un titolo fa un libro (e lo rende letteratura) ma per dire che Volo ragiona come un buon comunicatore quale indubbiamente è: trovare le parole giuste per parlare a più persone possibili. Senza sconvolgerle, senza scomodarle, possibilmente vendendo un’idea: che quella sia letteratura.

Un bravo comunicatore, non uno scrittore. E da bravo comunicatore qual è lui direbbe “Scrittore io? Mai pensato di esserlo”. E magari sarebbe sincero.

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