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Ottimismo

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Ottimismo

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C’è stato un periodo della mia vita in cui ero pessimista. Senza essere molto originale, fu quando ero adolescente. Più che pessimista, ero molto riflessivo e i temi attorno a cui volteggiavo erano i soliti: la morte, la malattia, le virtù e il crollo dei valori. Che adolescenza tremenda, vista oggi.

Poi non so bene cosa accadde: mi accorsi che il pensare alle disgrazie non aiutava a prevederle ed evitarle, né tantomeno preparava ad affrontarle. La verità è che non si sa mai come si reagisce a una situazione nuova e complessa. Mi capita di andare in crisi per una coda troppo lenta e di essere perfettamente calmo quando accade qualcosa di davvero grave. Ci facciamo delle idee sul come reagiremmo alla malattia o alle perdite per poi scoprire che non avevamo previsto giusto niente di niente, e ci stupiamo magari a reagire come mai avremmo pensato.

Churchill amava ripetere la storia di quel vecchio uomo che sul letto di morte disse “Mi sono preoccupato di tante cose nella mia vita, pochissime delle quali poi sono accadute davvero”.

Al di là della sua usuale ironia, questa brevissima parabola ha un sottotesto: quello che ci accade non coincide quasi mai con quello che ci raccontiamo e noi stessi siamo gli sceneggiatori della storia che interpretiamo. Non ne decidiamo l’azione ma la percezione che ne abbiamo è mediata dal racconto che ne facciamo, o dalla narrazione, come si usa dire oggi.

Potrei proseguire con le citazioni, tipo quella di Bruce Lee che diceva “Sei ciò che pensi” (che poi lo diceva prima di lui Buddha) e lo credo davvero: siamo ciò che pensiamo, perché le cose e il futuro prendono la forma dei pensieri che al riguardo facciamo. Forse è per questo che ho smesso di pensare in chiave pessimista alla mia vita: costa lo stesso sforzo che pensarvi positivamente e anzi vi aggiunge il peso di un umore sempre uggioso e preoccupato. No, non sono preoccupato, soprattutto perché gran parte di quel che mi (ci) accade non dipende da me. Come sempre da me (da noi) dipende solo ciò che possiamo controllare.

La narrazione però, si diceva, dà forma al futuro. È per questo che trovo particolarmente nefasta quella pessimista perché alla fine dà una direzione alla realtà, le dà la possibilità di evolvere esattamente come si pensa, cioè negativamente.

Fra il pessimista e il cinico però (dato che fan parte della stessa famiglia) scelgo il pessimista perché ha la forza di ammettere che la realtà è infame, mentre il cinico la considera infame pensando allo stesso tempo che potrebbe non esserlo, e misurando su questa prospettiva la delusione per lo stato delle cose. C’è più moralità nel pessimista che non vede soluzione che nel cinico che si danna perché le cose non sono come vorrebbe lui. Le cose, come sempre, se ne fottono.

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