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Salvare Don Giovanni

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Salvare Don Giovanni

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A cenar teco m’invitasti

 

Ognuno ha i suoi bioritmi: il sonno, la veglia ecc. Forse è il ciclo circadiano quello, vabbè.
Dicevo: un mio bioritmo periodico è l’ascolto del Don Giovanni di Mozart: ogni due/tre mesi, in genere di venerdì, ascolto solo quello, anche due volte di fila. Ogni volta, oltre a goderne oltremodo, scopro sempre cose nuove, sottigliezze e dettagli.


Ho pensato due cose che non avevo mai pensato al riguardo (di Don Giovanni).


  1. Il Don Giovanni è teoricamente irrappresentabile oggi, nell’attuale clima sociale. È un personaggio abietto, corrotto e, se non bastasse, fieramente sessista ed egocentrato: non pensa che l’uomo sia superiore alla donna e questa sia una preda destinata al suo sollazzo; pensa al contrario di essere l’unico a poter disporre di quelle che vuole, giovin e vecchie, marchesine e principesse, d’ogni forma e d’ogni età.
    Se ci si fermasse a questa considerazione — che è poi tutto quello che chiunque bene o male sa di Don Giovanni— quest’opera dovrebbe essere rappresentata talmente emendata da essere irriconoscibile. Ma urge dire che Don Giovanni finisce fra le fiamme dell’inferno trascinato da colui che lui stesso uccise, ossia il Commendatore, padre di Donna Anna (una delle sue tante sedotte e abbandonate), noto soprattutto come Convitato di Pietra perché giunge al banchetto di Don Giovanni sotto forma di statua (era morto ucciso del resto). Insomma: il finale ha un risvolto indubbiamente morale: il peccatore viene punito e la donna tradita vendicata ecc. ecc.
    Bene, no? Sì e no perché in realtà le letture sottotraccia sono sempre le più interessanti e ne propongo una, al punto seguente, ossia il:
  2. In tutto il Don Giovanni, le uniche figure dotate di ironia e davvero divertenti — chi in forma più macabra, chi più leggera — sono Don Giovanni stesso e il suo servitore Leporello. Cioè il peccatore supremo e il suo accolito che non è altrettanto peccatore ma sicuramente lo fiancheggia. Poi ve n’è una terza: la stupenda figura della giovane contadina Zerlina, sempre più incline a tradire il suo giovin fidanzato un po’ sempliciotto Masetto per il mondano e provocante Don Giovanni. È un carattere che sta nel mezzo il suo: ha la leggerezza dell’ironia e della sfrontatezza e un po’, solo un po’, di sopravvivenza di codice morale.
    Gli altri, da Donna Anna a Donna Elvira al Don Ottavio, son rigidi e seriosi, moralmente incorruttibili, orgogliosi e retti. D’una noia abissale insomma. Non si cerca nel Don Giovanni la punizione del corrotto ma anzi: si vuole vedere sino a dove si spingerà perché lui provoca ed esercita un potere dissennato e fanciullesco verso la morale, cioè verso l’incarnazione del potere probo e inflessibile.

Quale delle due forme è più interessante? Non ho dubbi: quella di Don Giovanni. Perché sfida e provoca la crisi addirittura immolandosi alla fine, perché la sua condanna è un’immolazione. E soprattutto: la sua corruzione morale ha la funzione di porre in risalto lo spessore morale dei suoi antagonisti, che privati dell’abiezione di lui, resterebbero di una infinita, immensa noia mortale. Del resto il libretto è dell’italiano Lorenzo Da Ponte, di professione prelato e uno dei pochi a riuscire a farsi cacciare da Venezia per indegnità (cioè, non da una città poco avezza a un’interpretazione elastica dei codici morali — per dire quanto doveva essere corrotto). Si potrebbe pensare che il Don Giovanni sia quasi autobiografico e che Mozart, uno spirito libero e guizzante nella rigidità militare austriaca, non ne fosse altro che divertito: ne vedeva la provocazione prima di altro e poi, solo molto dopo, l’immonda condotta morale che infatti dà una forma alla narrazione ma non ne è la parte più interessante. Quello che interessa è, come sempre, la deviazione, perché è ovvio stare dalla parte di Luke Skywalker, ma alla fine quello figo è Darth Vader, non se ne esce.

 

W Don Giovanni e, vi prego, non cambiatelo mai.

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