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Il linguaggio dell’architettura

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Il linguaggio dell’architettura

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Come tutte le arti, anche l’architettura parla un linguaggio. A partire da quello classico e fino a quello contemporaneo, ecco come si è evoluto nel corso della storia.

 

Quella che segue è la trascrizione rieditata di una lezione che ho tenuto durante una Summer School di Ca’ Foscari e Harvard alla Biennale di Architettura 2018. Per comodità di consultazione è stata divisa in due parti: la prima riguarda il linguaggio classico dell’architettura ed è ispirata al testo fondamentale di John Summerson, la seconda quello moderno e contemporaneo, ed è un’interpretazione personale di cui mi assumo la responsabilità.

Il titolo originale è “The Language of Contemporary Architecture”.


 

Vorrei iniziare ponendovi una domanda:

 

Qual è secondo voi la più importante invenzione dell’uomo? La ruota? Il fuoco forse? L’arco magari. Nessuna di queste cose, o almeno secondo me.

 

Secondo me la più grande invenzione dell’uomo è il linguaggio.
Il linguaggio è fondamentale perché ha permesso all’umanità di sentirsi unita, ha sviluppato il senso di comunità.
Noi umani abbiamo altri modi per manifestarci vicinanza: possiamo abbracciarci, possiamo aiutarci. Il linguaggio però ha aggiunto qualcosa alle nostre capacità: ci ha permesso di costruire e strutturare le conoscenze e di trasmetterle alle generazioni future. Ci ha resi ancora più una comunità perché ha trasceso la vicinanza fisica e ha aggiunto un’altra dimensione: con il linguaggio possiamo trasmettere conoscenze che ci fanno sentire parte di un tutto più grande di noi anche attraverso il tempo. Con il linguaggio in un certo senso possiamo viaggiare nel tempo. E quello che faremo oggi è proprio un viaggio nel tempo.

 

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