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Delicatezza 

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Delicatezza 

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Sono alla ricerca dell’etimo di delicatezza: di qualcosa che è percepibile solo attraverso un attento ascolto dei sensi, di cui non ci si accorge per ottundimento o potenza del segnale. Ciò che è delicato vibra leggermente e non vibra affatto se non vi si presta sufficiente attenzione. 

L’etimo, si diceva. Pensavo derivasse – come quasi tutto – dal latino o dal greco, mentre deriva dal germanico delikatessen, riferito a “cibo prelibato”. L’indizio etimologico è interessante perché ne circoscrive l’ambito dell’origine al gusto, quindi alla stimolazione dei sensi.

Non mi interessa questa sua particolare declinazione quanto piuttosto il suo senso più lato, quasi filosofico: è la delicatezza esistenziale che cerco. La cerco, naturalmente, perché ne vedo assai poca e non trovo interessante ciò di cui c’è abbondanza ma il suo esatto opposto. 

Quindi, si diceva, bisogna percepire la delicatezza, che non ti si presenta luminosa e abbacinante di fronte, o non lo fa come qualsiasi altra cosa capiti di osservare in quest’era. Per questo la trovo così anti-storica e non contemporanea, poiché non assimilata dal linguaggio corrente. Oggi si vede, si ascolta, si assaggia, si tocca solo ciò che grida la sua presenza, non ciò che bisogna saper ascoltare ma ciò che urla di voler essere ascoltato. Non è una differenza sottile. È un diverso tipo di ascolto.

Si dice che bisognerebbe gustare i cibi senza sale, come dire “in purezza”. Il sale è un esaltatore di sapidità, cioè amplifica il gusto dei cibi. Il sale serve ad alzare il loro volume, a farceli assaporare senza sforzarsi di coglierne le sfumature. 

Alzare il volume significa però anche perdere molti livelli di profondità di qualcosa. Il volume nella musica è spesso nemico dell’ascolto, non fa sentire meglio, fa solo sentire più forte. La dinamica del suono è qualcosa di molto più sottile e, appunto, delicato e il volume copre la dinamica, la appiattisce, la zittisce.

È più interessante la dinamica del suono, più che il suo volume. O, in altri termini, è più interessante il volume spaziale che una musica crea piuttosto che la sua potenza acustica (altrimenti detto volume).

***

Quando medito ascolto il mio corpo. Durante il giorno in realtà lo sento solo se qualche sua parte duole. Quello che si ascolta (percepisce) è in realtà la deviazione dalla percezione considerata normale, che è uno stato in cui non si percepisce niente di particolare. “Normale” infatti è ciò che è conforme alla norma, senza deviazioni, senza picchi negativi o positivi che richiedano ascolto o attenzione. 

La normalità, si sarà capito, non c’entra con la delicatezza. La delicatezza è coperta dalla normalità, è percepibile solo se si ascolta molto attentamente. D’altro canto la delicatezza è una vibrazione, una debole oscillazione, un minuto riverbero che si coglie solo con molta attenzione. In quel leggerissimo movimento sta tutta la differenza.

Il fatto d’essere silenziosa e poco evidente potrebbe far pensare che la delicatezza sia poco importante. In realtà è l’esatto contrario. Se a qualcosa di evidente e categorico (e urlante) si toglie tanto o poco delle sue caratteristiche, poco cambia: la cosa resta sempre a urlare, trova il suo modo per farsi sentire. Se a una cosa delicata si toglie qualcosa le manca improvvisamente l’equilibrio, smette di essere quella cosa delicata, non è più. 

Basta pensare a una musica di Bach o di Mozart: son fatte di tante note, cosa mai potrà succedere se se ne sposta o se ne toglie qualcuna? Succede che non sono più perfette, o non sono più e basta. Sono altre cose, imperfette. 

Quindi la delicatezza non è affatto poca cosa. 

La delicatezza definisce la differenza fra una cosa perfetta e una cosa imperfetta.

È vero: avevo scritto che la perfezione è noiosa ma è di un tipo diverso di perfezione che parlo. Quella definita dalla delicatezza è la perfezione dell’equilibrio, è l’armonia di ogni parte che costituisce qualcosa, è la nota al posto giusto, è il segno sulla tela esattamente in quel punto e non un millimetro più in là. La perfezione noiosa è l’assenza di difetti, è un’immagine mortifera che non lascia pensare che vi possa essere evoluzione. La delicatezza è invece un equilibrio dinamico, fatto di parti che si muovono secondo regole precise, come in una Partita di Bach o in un’aria di Mozart e Da Ponte.

Scrivo della delicatezza perché mi sembra sempre più difficile coglierla, e allo stesso tempo mi sembra che i nostri sensi siano sempre meno capaci di vederla.

Si può però trovarla in luoghi mentali e fisici precisi: ha bisogno di silenzio, rifugge il disturbo, gli estremi, il duro e il morbido, sta lontana dall’eccesso di ogni tipo. Come dicevo all’inizio, oscilla e vibra, debolmente. Per percepirla bisogna acuire i sensi, bisogna ascoltare, bisogna fare silenzio.

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