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Cyberstruck me

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Cyberstruck me

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La prima reazione è stata l’ilarità, poi il rifiuto, poi altra ilarità, poi ho pensato che stesse trollandoci tutti.

La nuova auto che Elon Musk ha presentato non è un’auto o non solo. Il modo più semplice per descriverla è che sembra l’auto che ognuno di noi ha disegnato almeno una volta nella sua vita, rigorosamente prima dei 10 anni di vita, non avendo alcuna capacità per farlo, s’intende.

Dal punto di vista del design non c’è molto da dire: non concede niente all’estetica, è oltre l’estetica. Che se ne può dire? È sgraziata, è ostile nella sua spigolosità, sembra un carrarmato civile, è tagliente come un rasoio, sembra che odi il genere umano. Eccetto gli esemplari del medesimo che ha a bordo.

È più interessante e divertente leggere come è stata definita. Più fantasiose sono le descrizioni che ne hanno fatto (spesso dicendo a cosa somiglia), più è chiaro che Elon per l’ennesima volta ha capito qualcosa che non siamo ancora pronti a capire.

Se il tuo prodotto — anche se in questo caso il prodotto è poco più di un prototipo (letteralmente: sembra un prototipo) — suscita emozioni e stimola la memoria delle persone allora hai creato una connessione. Hai superato lo scudo della pura utilità di un oggetto e stai stimolando uno strato più profondo e normalmente irraggiungibile.

Le reazioni sono state innanzitutto emotive per poi essere rielaborate con una modalità tipica dei meccanismi del ragionamento infantile: “assomiglia a”, con le varianti del “mi ricorda questo o quello” per proseguire poi con citazioni che pescavano soprattutto nella cultura popolare. Conto me stesso in questo gioco, anche perché il primo pensiero avuto è stato che assomigliava a come disegnavo le automobili a sei anni (avrei dovuto dare più peso a questa reazione, fin da subito). In mille hanno citato il “mezzo” che Homer ideò per il fratello costruttore di auto, e che mandò in rovina la sua azienda. Altri l’hanno definito un veicolo da apocalisse zombie, io ho pensato a Mad Max e al fatto che apparisse come perfettamente pertinente con quell’immaginario futuribile.

Musk non ha presentato un pickup o una nuovo concetto di auto. Per molti versi ha presentato una piattaforma: qualcosa che può essere diverse cose o un punto di inizio tanto che ho pensato che il suo core business fosse diventato “Mettere motori elettrici a qualsiasi cosa”.

Poi un amico ha dissipato le nubi che non mi permettevano di vedere quanto genio ci fosse in quella “cosa”.

“Non so come dirlo. Mi piace perché è come il futuro era nel 1972, perché è disperato come il robot di Interstellar. Perché i contadini moriranno pestandosi la testa sugli spigoli, si chiuderanno le dita in quelle fessure seamless. Perché proveranno a spararsi a vicenda per vedere se il vetro li protegge. È troppo avanti per i retrogradi.”

Inizialmente quel “disperato robot di Interstellar” mi ha distratto (“Ecco un altro riferimento perfetto che non avevo colto”, ho pensato) ma poi ho capito che l’intuizione di questo amico era ben più profonda: quella non era un’auto, era una cosa che non potevamo ancora capire.

La (o il?) Cybertruck è una specie di grado zero del design e dell’auto. Qualcuno ha notato che se ne può costruire un modello 3D con soli 103 poligoni (una maniglia di porta ne ha di più). Come l’ha definita Joshua Topolsky, “è il figlio bastardo di una Delorean e di un Hummer”. Viene prima del trattamento estetico a cui verrebbe normalmente sottoposta un’auto (tanto che mi sono chiesto subito se l’avrebbero poi disegnata, magari con calma) ma viene contemporaneamente anche dopo, nel senso che non ne ha bisogno, non le interessa nemmeno essere bella o assomigliare a una bella automobile. Non partecipa al campionato delle altre automobili.

Perché poi a valutarla come auto ha mille problemi: quella carrozzeria inscalfibile come si comporterà coi i pedoni? E con gli occupanti? Nessuno si augurerebbe di andare a sbattere con un mezzo indeformabile perché tutto l’urto l’assorbirebbe chi sta dentro e non l’auto.
Ma essendo oltre ogni categoria è anche inutile confrontarla con il resto delle automobili. Proporrei di vederla come un manifesto della mobilità post-nucleare (o post-apocalisse zombie, a scelta). Mad Max, appunto.
Ma neppure questo: è davvero difficile darle un nome e una collocazione. Questi tempi te la fanno valutare come un oggetto contemporaneo mentre potrebbe venire dal futuro e non muoversi nemmeno. Chissà cos’è, non conta neanche saperlo.

Una sola cosa è certa: Musk è stato capace di rievocare il bambino addormentato in noi stessi da decenni. Forse lui viene dal parchetto giochi della nostra infanzia dopo un viaggio temporale lungo il quale ha realizzato tutte le cose che dicevamo che avremmo fatto da grandi sapendo che non le avremo mai fatte. Infatti non gli crediamo quando dice di averle fatte. Poi ce le mostra e dobbiamo ammettere che sì, c’è riuscito.

Elon Musk è stato un bambino come tutti noi. Ha avuto i nostri sogni e li ha disegnati a sei anni o giù di lì. Solo che poi li ha realizzati. E non parlo di diventare il più ricco del reame. Parlo di fare automobili e razzi e conquistare lo spazio. Lui ha ridotto la distanza fra sogno e realtà, molto spesso annullandola.

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