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Berlino, anno 2015

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Berlino, anno 2015

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Tornare a Berlino 17 anni dopo esserci stato la prima volta.

A Berlino puoi andarci avendo pianificato un impietoso piano di battaglia: cosa vedere, quando vederlo. Dove prendere un caffè, dove mangiare lo stinco, quale galleria d’arte vedere.

 

Questo è un viaggio fotografico senza capo né coda. Non ha la minima presunzione di dare un’idea di cosa sia Berlino, né ne trarrà impressioni o epifanie particolari.

 

In una settimana caldissima di fine giugno/inizio luglio ho passeggiato per le sue strade facendo foto, guidato più dal caso che altro.

Le foto sono fatte quasi tutte con iPhone 6. In giro per Berlino c’erano gigantografie con foto magnifiche e sotto scritto “Shot on iPhone 6”. Ho pensato che erano bellissime e grandissime e che Instagram ha ucciso la dimensione della fotografia. E ho pensato che l’iPhone fotografa davvero splendidamente e che ormai è la mia unica macchina fotografica.

 

Alexander Platz

 

È uno dei luoghi più noti di Berlino: è una brutta piazza di memoria sovietica, senza una forma particolare e con edifici brutti attorno. Eppure mi ci sono ritrovato a passarci 400 volte. Forse è un luogo ombelicale di Berlino, o forse è attraente perché è brutta. Non riesci a non guardarla. Perché ci capitano cose, la gente ci passa incessantemente e sembra non sostarci mai. In una piazza italiana ci stai, ad Alexander Platz ci passi.

 

Inoltre è anche un libro scritto che dice quanto è cambiata Berlino dopo l’unificazione: ci sono nuovi negozi occidentali, ci sono turisti. C’è tutto quello che era “oltre”, “al di là”. Non concede niente all’estetica ma moltissimo alla storia, di quel genere di storia che ci è più vicina perché è fatta di cose accadute pochi anni fa, che abbiamo vissuto e ricordiamo.

 

Alexander Platz alle 19 di sera.

La memoria

Pur essendo una metropoli moderna, Berlino si confronta costantemente con il passato. Non c’è pietra che non te lo ricordi. È una città proiettata nel futuro con la testa girata al passato. Si interroga incessantemente sui suoi tragici trascorsi e li medita senza sosta. Forse in maniera eccessiva.

 

Monumento all’Olocausto, Peter Eisenmann. Sullo sfondo la DZ Bank di Frank O. Gehry

 

La sua storia non è un passato concluso come in una città medievale italiana: è un passato che viene ossessivamente riportato alla dimensione presente. Non lo osservi come in un museo o come una memoria finita. È continuamente riproposto e continuamente presente.

 

Il passato di Berlino è il presente di Berlino.

 

Monumento all’Olocausto, Peter Eisenmann

 

Tutto questo non c’era

 

Potsdamer Platz

 

Quando venni nel 1997 a Potsdamer Platz non c’era niente. C’era una distesa di terra piatta, brulla, spianata da mezzi meccanici. C’era il Sony Center, qualche pezzo di muro, la rossa scatola dell’Infobox che informava sull’avanzamento dei lavori. Niente attorno. Potevi spaziare con lo sguardo per centinaia di metri attorno e vedevi solo la linea dell’orizzonte e il cielo sopra. E decine di gru che hanno costruito negli anni la Potsdamer Platz attuale. Una cittadella del terziario e del commercio (e anche del divertimento, nel Sony Center) di cui Renzo Piano ha disegnato il masterplan oltre ad alcuni edifici. Quello più alto che sembra un grattacielo di Manhattan sulla Madison Avenue è invece di Hans Koolhoff. Non ci sono stato di sera ma credo non sia particolarmente animata.

 

Mall of Berlin

 

Assieme a Friedrichstraße questa è anche la parte di Berlino più commerciale: bei negozi, grandi magazzini, COS, Armani, Galerie Lafayette, buttafuori, Bentley e Ferrari che sgasano. C’è un’evidente ostentazione della ricchezza ma il trionfo del mercato — proprio qui che era Berlino Est — sembra più misurato e consapevole. C’è abbondanza ma con misura.

 

Friedrichstraße

 

Il movimento

Non occupare mai le piste ciclabili di Berlino se sei un pedone.
Dovrebbero spiegarlo a chiunque visiti la città per la prima volta.
I ciclisti sono spietati e sfrecciano a velocità folli, incuranti di chi gli si para di fronte. Tu pedone, semplicemente non devi esserci.

Karl Scheffler la definì “La città che è condannata ad un eterno divenire, e mai a essere”.

 

Berlino cerca sempre una sua definizione.

 

Puoi definire Venezia la città d’acqua, o New York quella delle mille luci che non dorme mai, ma Berlino cos’è? Com’è?
È un continuo divenire. Qualsiasi definizione è già scaduta.

Quando ci venni nel 1997 per la prima volta non aveva forma. Era orizzontale e con qualche cosa costruita qua e là. Molti vuoti, molte mancanze. I vuoti ora sono riempiti con la memoria.
Ricordo che vidi cose che per me erano distanti l’una dall’altra decine di chilometri. Ora le ritrovo tutte più o meno vicine perché c’è un tessuto che le unisce.
Ora si vedono gli uomini e le donne, si vede chi costruisce Berlino e chi domani la renderà diversa. Ma una qualche forma ora ce l’ha. Ora è una splendida città perfettamente tenuta e amata. Che cambierà ma che è capitale, che è centro di qualcosa. Che rappresenta se stessa e i suoi cittadini, che sono poi cittadini dell’Europa.

 

Prinzessin Park

 

L’aperitivo da Max und Moritz

 

Dove guarda Berlino? Verso il cielo che non riposa mai? Verso l’Angelo della Vittoria di Tiergarten?
Berlino prova a percorrere strade. Le costruisce nel frattempo o ricorda quelle che non ci sono più o che erano una memoria del passato e del terrore. Le ricorda per non dimenticare, per ricordare che il buio e la violenza possono sempre tornare a minacciarla.
Riempie spazi e gli dà significato: è una città da sempre espansa e diffusa ma che ora si espande dentro se stessa, trovando un significato nei suoi vuoti, come in quelli della torre dell’Olocausto del Museo Ebraico di Libeskind: dove sei dimenticato e senti ogni rumore della strada poco sopra. Ci sei ma non esisti per nessuno e dubiti di esistere anche per te stesso.

 

Torre dell’Olocausto, Museo Ebraico

 

Ecco perché Berlino ricorda: per restare sveglia, per non riaddormentarsi, perché le nuvole del suo cielo non si trasformino in draghi. Per cambiare ed essere la Berlino di domani. Costruita sulla memoria, pronta a cambiare ancora non dimenticandosi mai cosa è stata.

 

Potsdamer Platz, un nostalgico

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